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lunedì 5 novembre 2012
Dal medium al contenuto liquido: curation, interazione ed utopia dell'attenzione
La radio non ha ucciso i giornali. La TV non ha ucciso la radio. Internet non ha ucciso la TV. Così come gli ebook non soppianteranno i libri o i cd non sostituiranno i vinili per i cultori.
Certo, non si stampa più come faceva Gutenberg e non ci sono più gli amanuensi nell'era del Kindle, non si usa più il walkman ma l'mp3 sull'iPod, non si guardano più i video sul vhs ai tempi del dvd e del blu-ray.
Quando si parla di contenuto quindi, bisogna fare necessariamente una distinzione tra il formato ed il canale. Al canale sono legate le modalità di fruizione del messaggio veicolato, mentre il formato ne definisce intrisecamente la qualità. Il secondo è vittima del tempo e delle evoluzioni tecnologiche, mentre il primo tende alla convergenza, oggi accelerata dal processo digitale.
I canali non si annichiliscono e/o soppiantano a vicenda, ma ridimensionano il loro bacino d'utenza nel tempo a favore o a scapito degli altri, cambiano target di riferimento, mutano ma non muoiono, il tutto sempre in un'ottica di imprescindibile integrazione.
La tendenza è perciò quella di un contenuto liquido, a prescindere dall'interazione attiva e/o passiva con lo stesso, e sempre più al centro di sistemi multinodali e multipiattaforma, che aumenteranno la portabilità fra dispositivi e da/verso nuovi e vecchi media, per un'esperienza utente diffusa che coinvolga i vari sensi in base al livello di attenzione possibile per ogni soggetto in un determinato istante.
In sintesi, il problema non sarà più solo la quantità/qualità del contenuto e/o la sua diffusione, a prescindere che questa dipenda da una scelta diretta o indiretta del singolo, ma la saturazione generata dalla società dell'informazione, il relativo rumore di fondo conseguente alla molteplicità di risorse contemporanee e concorrenti e quindi il livello di interazione e/o attenzione possibile per ciascun individuo per ogni contenuto.
Proprio da questo ultimo punto dipenderanno i venturi processi di valorizzazione e i relativi modelli di business futuribili dell'industria dei contenuti, che non si baseranno più sulla semplice impostazione premium del contenuto in sé, e/o sulla pubblicità a cornice del contenuto stesso, ma sulla costruzione diffusa (distribuita e/o collettiva) di tale contenuto sulla base degli interessi e delle interazioni, oltre quindi all'attenzione possibile del singolo in quel momento. In questo scenario anche il contenuto sarà pubblicità, diventando parte del contenuto stesso all'interno di un determinato contesto scelto, facendo perdere quindi a quest'ultima la sua tendenza di ospite invadente e pertanto indesiderata.
Sono consapevole che ad oggi, né il livello dell'informatica nella semantica, né le interfacce per accedere al contenuto, permetterebbero un vero automatismo della macchine ai fini di un vero isolamento del rumore che non degradi il contenuto e che non ci faccia perdere ciò che potrebbe comunque interessarci (non ci siamo ancora riusciti con lo spam, per dire). Pertanto l'aspetto umano resta ancora centrale nel filtrare, adattare, scartare, promuovere, organizzare, ecc il contenuto, cioè quella frontiera ancora realmente inesporata della content curation.
Per quanto mi riguarda credo però che siamo ancora lontani anche dal primo step, cioè quello della convergenza, nonostante la tendenza sia comunque palese.
Le leve restano in ogni caso due: il disturbo dovuto al rumore (distinguere ciò che non mi interessa da ciò che mi interessa), e l'attenzione (il mio livello di coinvolgimento e di partecipazione più o meno attiva al contenuto e di immersione nello stesso: se ascolto è diverso che se guardo e ascolto, ecc), in entrambi i fattori sono da riferirsi in un determinato istante di tempo non a caso.
Di certo ogni media ha cambiato (in evoluzione/devoluzione) il linguaggio, che può essere strumento o strumentalizzato a seconda del parlante e del ricevente (penso alla comunicazione politica berlusconiana di questi anni o al "Carosello" pubblicitario della prima TV, tanto per fare degli esempi), pertanto questa mia riflessione non ha alcuna presunzione di essere esaustiva, vista anche la complessità dell'argomento trattato e la quantità di punti di vista da cui si può guardare la questione.
Il confronto su questi temi è secondo me la base per tentare insieme di guardare oltre la siepe di questi anni (a prescindere dal punto di osservazione: che sia lato marketing, lato comunicazione, lato editoria, ecc) e provare a fare un ragionamento strategico nel lungo termine soprattutto se non si resta ancorati al proprio ambito di competenza.
Jacopo Paoletti | @jacopopaoletti
From medium to liquid content: curation, interaction and the utopia of attention
The radio didn't kill newspapers. The TV didn't kill the radio. Internet didn't kill TV. Just as ebooks won't substitute books and cds won't replace vinyl records for collectionists.
Of course, we don't print as Gutenberg used to and there are no more amanuenses in the Kindle era, we don't use walkmans but mp3s on the iPod, we don't watch vhs movies anymore when we have dvds and blu-rays.
When we talk about content, we must necessarily make a distinction between format and channel. The channel is linked to the modalities of fruition of the message, while the format defines intrinsecally its quality. The second is victim of time and technologic evolutions, while the first tends to convergence, accelerated today by the digital process.
The channels don't eliminate or substitute eachother, but redimension their user pool in time, in favor or in spite of others, change reference target, change but don't die, all in a perspective of indispensable integration.
The tendency is that of a liquid content, that goes beyond the active and or passive interaction with it, and more and more in the center of multi-node and multi-platform systems, that will increase the portability among devices and from/towards new and old media, for a diffused user experience that engages the sense based on the level of attention that is possible for every subject in a particular moment in time.
In synthesis, the problem won't be only the quantity/quality of content and/or its diffusion, regardless of whether this depends on a direct or indirect choice of the individual, but the saturation generated by the society of information, the relative background noise which is consequence of the multiple simultaneous and concurrent resources and thus the level of interaction and/or attention possible for each individual for each content.
Exactly from this last point the future processes of valorization and the related business models of the content industry will depend, and they won't be based on the simple premium setting of the content itself anymore, and/or on advertising surrounding the content, but on the diffused building (distributed and/or collective) of the content on the base of interests and interactions beyond the attention possible in that moment for that individual. In this scenario content will also be advertising, which becomes part of the content itself inside the chosen context, making it lose its tendency to be an invasive and undesired guest.
I am aware that today neither the level of informatics in semantics, nor the interfaces to access content would allow a true automatism of machines aimed to an authentic isolation of the noise that doesn't alter content and that doesn't make us miss things that we could still be interested in (we haven't managed to do it with spam yet, just saying). So the human aspect remains central in filtering, adapting, discarding, promoting, organizing the content, which is that unexplored boundary of content curation.
As for me I believe that we're still very far away even from the first step, which is convergence, although the tendency is quite clear.
The levers remain in any case two: the disturbance caused by noise (distinguishing what I'm interested in from what I'm not interested in), and the attention (my level of engagement and participation more or less active to content and immersion in it: if I'm listening it's different from watching and listening, and so on), in both cases the factors are referred to a specific instant in time which is not random.
What is certain is that the media have changed (in evolution/devolution) the language, which can be an instrument or be instrumentalized based on the speaker and the receiver (I'm thinking about the Berlusconi political communication of these years or the "Carosello" advertising of the first years of TV, just to make a few examples), so these thoughts have no presumption of being complete, given the complexity of the topic and the quantity of perspectives from which the matter can be analyzed.
Some thoughts on these topics are the base to try together to look beyond these years (regardless of the viewpoint: marketing, communication, editors, etc.) and try to make some long term strategic reasoning, especially if we don't remain tied to our field of competence.
Jacopo Paoletti | @jacopopaoletti
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