▼ Il tweet del giorno
Berlusconi: "Presidente della Convenzione? Solo una battuta". Come quando prometteva un milione di posti di lavoro ed il rimborso dell'IMU.
— Il Triste Mietitore (@TristeMietitore) 08 maggio 2013
martedì 30 aprile 2013
Il panorama dei #socialmedia
Nei social media, i ricchi diventano più ricchi
Uno dei problemi più comuni che incontriamo quando studiamo la storia del mondo è la distribuzione ineguale del denaro. Questo ha causato problemi gravi fin da quando il concetto di denaro è stato inventato. E' un ciclo senza fine da cui gli esseri umani non sono ancora stati in grado di uscire. E funziona in questo modo:
I ricchi hanno un sacco di soldi. I poveri cominciano ad essere arrabbiati e decidono che vogliono protestare. Quello con cui si scontrano, ovviamente, è il fatto che i ricchi, con i loro soldi, possono evitare praticamente tutto quello che vien loro gettato. Questo rende i poveri ancora più arrabbiati finché, inevitabilmente, la situazione non si fa brutta.
Si potrebbe pensare che con tutte le meraviglie della tecnologia moderna, potremmo finalmente avere la possibilità di prevedere questo triste ciclo, eppure ancora ci perseguita. Ora, persino nel reame dei social media, la distribuzione equa della "ricchezza", comunque la si possa definire in termini online, sta diventano sempre meno equa. Considearate le seguenti categorie di influenza online, se volete, e ditemi se questo corrisponde anche alla vostra esperienza.
Blogging
Per poter costruire il vostro blog, avete bisogno di promuovere i vostri post e sperare che ciò che state scrivendo avrò risonanza. Lavorate duro a tutti vostri post, sperimentate, e la maggior parte delle volte non vedete un compenso molto alto per tutto quel duro lavoro. Vi trovate in una situazione da Catch-22. Le persone tendono a non leggere post di siti che non conoscono, ma non possono scoprire il vostro sito se nessuno ne parla. Questo ovviamente non è un problema per il blogger che ha molti subscriber o una grande community. Può scrivere di quasi qualsiasi cosa ed è statisticamente certo di ottenere più reazioni rispetto ai tuoi post.
Quando mi sono iscritta a Twitter per la prima volta, il grande obiettivo era arrivare a 100 follower. Pensavo che sarebbe stato molto divertente, e siccome iniziavo da 0, sarebbe stato anche un buon benchmark. All'inizio, tutto andava bene. Quando si è nuovi su Twitter, si viene seguiti da un sacco di spam bots. Ma ricordo di essere rimasta bloccata a 67 follower per un periodo di tempo che sembrò lungo mesi. A volte arrivavo a 70, ma poi tornavo indietro a 65. Ogni volta che ottenevo un nuovo follower, facevo festa. Beh, non è vero, ma comunque ero molto felice. La cosa interessante di Twitter, tuttavia, è che più follower hai, e più le persone vogliono seguirti. Le persone che hanno già molti follower riescono a far crescere la loro community o network molto più rapidamente delle persone che vogliono (o hanno bisogno) di arrivare nello stesso punto.
Facebook pages
La stessa formula è vera per le Facebook fanpage. Dicono che i post che vengono commentati o condivisi hanno più probabilità di finire nei newsfeed delle persone. Tuttavia, non si possono avere molti commenti o condivisioni se non si hanno molti fan, e non si possono avere molti fan se nessuno vede i nostri contenuti.
Sembra tutto molto ingiusto, e non sono sicura di cosa potrebbe essere fatto in proposito. Ho solo voluto evidenziare che questo trend in effetti esiste. Se siete nuovi nel ondo online e state pensando che forse è una cosa che vi stavate immaginando, vi posso assicurare che è vera! Quindi pensiamoci. Come possiamo cambiarla?
Marjorie Clayman | @margieclayman
Social media today
In Social Media, the Rich Get Richer
One of the most common problems you encounter as you study world history is the unequal distribution of money. This has thrust cultures into distress probably since the concept of money was first developed. It’s an endless cycle that humans have not yet been able to escape. It goes like this:
The rich get a lot of money. The poor start to get upset about this and decide they want to protest. What they encounter, of course, is the fact that the rich, with their money, can stave off pretty much anything that gets thrown at them. This makes the poor even more angry until, inevitably, the situation becomes ugly.
You might think that with all of the wonders of modern technology we would finally have the ability to forego this sad cycle, but it haunts us still. Now, even in the realm of social media, the even distribution of “wealth,” however you define that in online terms, is becoming increasingly uneven. Consider the following categories of online “influence,” if you will, and tell me if this has been your experience.
Blogging
In order to build your blog, you need to promote your posts and hope that what you are writing will resonate. You work really hard on all of your posts, you do a lot of experimentation, and most of the time you don’t see much reward for all of that hard work. You find yourself in a catch-22. People don’t tend to read blog posts from sites they don’t know, but they can’t learn about your site if nobody is talking about it. This is of course not a problem for the blogger who has a lot of subscribers or a big blog community. They can post almost anything and it’s certain, statistically, to get more reactions than your posts.
When I first signed up on Twitter, my big goal was to get up to 100 followers. I thought that would be great fun and since I was starting from 0, it would also be a pretty good benchmark. At first, things went ok. When you’re new to Twitter you get followed by a lot of “follow-back” spam bots. But I remember very clearly being stuck at just about 67 followers for what had to be months. Sometimes I’d get up to 70, then I’d sink back down to 65. Every time I got a new follower I threw a parade for myself. Well, that’s not really true, but it made me happy. The interesting thing about Twitter, though, is that the more followers you have, the more people want to follow you. The people who already have a lot of followers grow their community or network much faster than people who really want (or need) to get there.
Facebook pages
The same formula is true for Facebook pages. They say that posts that get shares or comments are more likely to show up in peoples’ newsfeed. However, you can’t get a lot of shares or comments if you don’t have a lot of fans, and you can’t get more fans if nobody sees your content.
It all seems highly unfair, and I am not really sure what could be done about it. I just wanted to point out that this trend does in fact exist. If you are new to the online world and are thinking maybe you’re just imagining things, I can assure you – you are not! So, let’s think about it. How can we change this?
Marjorie Clayman | @margieclayman
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lunedì 29 aprile 2013
10minuticon Andrew Keen @ajkeen #ijf13
Pochi giorni fa Andrew Keen, autore di "Cult of the Amateur" e "Digital Vertigo", ci ha concesso una interessante intervista a proposito di editoria e futuro dei giornali.
In primo luogo abbiamo chiesto ad Andrew come si sia evoluto il suo pensiero riguardo alla dura critica del web 2.0 che ha portato avanti negli ultimi anni: a suo avviso la sua è una critica condivisa da molte altre figure, ed esposta in maniera dettagliata all'interno del libro "Cult of the Amateur", pubblicato nel 2007. All'epoca il testo fu molto criticato in quanto sollevava due o tre questioni molto spinose: il concetto che la free digital economy non fosse sostenibile, e che sarebbe stato davvero difficile per coloro che producono contenuti fare soldi con la pubblicità, e questo si è rivelato in gran parte vero.
Allo stesso modo, le case discografiche, gli editori, i produttori, si trovano in una crisi ancora più profonda oggi: non che stiano sprecando soldi, ma la verità è che la maggior parte dei blog non si sono trasformati in business di successo, e spesso offrono i propri contenuti gratuitamente. Nemmeno utilizzando una rete distribuita come YouTube è possibile guadagnare. Un altro aspetto è quello legato alla pirateria, che secondo Andrew distrugge l'industria culturale e lascia indietro caos e anarchia, sia in termini culturali che politici.
Non esiste dunque una soluzione miracolosa per questo problema: su Internet tutti possono pubblicare, ma questo non significa che abbiano anche la possibilità di sostenersi economicamente con quelle attività. Questa economia non rende il self-publishing un business sostenibile, e persino le aziende più innovative come Spotify hanno moltissime difficoltà a rimanere a galla, e i ricavi sono davvero minimi. Tutte queste sono le ragioni per cui Andrew è molto scettico riguardo al modo in cui le nuove piattaforme possano supportare una economia culturale dando la possibilità agli artisti di guadagnarsi da vivere, che in fondo è ciò che più lo interessa sia a livello personale che politico.
La speranza riposta nella democratizzazione dell'accesso agli strumenti di pubblicazione era che il merito potesse venire premiato, ma secondo Andrew il vecchio sistema di riconoscimento del talento non era poi così fallace. Non era certamente perfetto, ma del resto non lo è nemmeno il nuovo, secondo cui la selezione avverrebbe naturalmente in base al numero di visualizzazioni di YouTube: purtroppo però in quei casi si tratta di persone capaci di costruire un video virale di 30 secondi, e di utilizzare una serie di strumenti di marketing relativamente sofisticati. Grande scetticismo, dunque, sul concetto che la democratizzazione della cultura stia effettivamente permettendo al talento di emergere.
Abbiamo inoltre parlato di finanziamenti pubblici ai giornali, a suo avviso una grande piaga: esiste la possibilità di avere giornali di successo senza finanziamenti pubblici, e di esempi ce ne sono diversi, a partire dal New York Times. Hanno un impatto negativo perché generano risentimento, ed è difficile pensare che siano oggettivi. Bisogna basarsi sul mercato, e se un mercato per il prodotto giornale non esiste, allora vuol dire che le persone non se lo meritano e vivranno senza: quello di avere i giornali non è un diritto dato da Dio, quindi se l'economia non funziona, allora moriranno.
L'unico modo per sopravvivere online è il paywall, tutti gli altri modelli di business non funzionano, e le notizie non dovrebbero essere gratuite, non più di quanto non lo sia il cibo, l'affitto o una macchina, peché i giornalisti devono poter essere pagati. Quella delle notizie gratuite è un'idea carina, ma nella pratica è assurda.
Maria Petrescu | @sednonsatiata
10minuteswith Andrew Keen
First of all we asked Andrew how his criticism of web 2.0 evolved in time: his is a critique shared by many other figures, and explained in detail in his book "Cult of the amateur", published in 2007. At the time the book was criticized because he made two or three arguments, he suggested that the free digital economy wasn't viable, and that it would be very hard for those producing content to make money off advertising, which actually proved to be a correct prediction.
In the same way, records comanies, publishers, producers, are in more of a crisis now than before. He doesn't intend that they're wasting money, but the truth is that most blogs didn't develop into real businesses, and mostly they're giving stuff away for free. Even with a distributed network like YouTube it's hard to make any money. Another matter is the piracy, which is very bad because it destroys the cultural industry and leaves behind chaos and anarchy, both from a political and a cultural point of view.
There is no miraculous solution, the Internet allows everyone to publish, but doesn't enable you to make a living out of it. This economy doesn't make self publishing a viable business, and even the sexy businesses like Spotify are struggling to stay afloat, and the revenue for artists is really minimum. This is why Andrew is skeptical about the way the new technological platforms can support a cultural economy and give artists the possibility of earning a living, which is what interests him most both at a personal and political level.
The hope was that the democratization of access to publishing tools would reward merit, but according to Andrew the old system for recognizing talent wasn't so bad after all. It wasn't perfect, but neither is the new one, according to which the selection happens naturally based on the number of views on YouTube: unfortunately the most viewed are people who are able to build a 30 second viral video and have the capacity of using relatively sophisticated marketing tools. He is very dubious on the concept that the democratization of culture is actually allowing talent to rise.
We also talked about state aids to newspapers, in his opinion a great plague: there is the possibility to have successful newspaper without any kind of State aids, and there are several examples to prove it, starting with The New York Times. They have a negative impact because they generate resentment, and it's really hard to guarantee that they are objective, whereas the best newspapers are the biased ones, in Andrew's opinion. These decisions must be based on the market, and if the market for newspapers is non existent, then people don't deserve them and will have to live without them: having newspapers isn't a God given right, so if the economy doesn't work, they will disappear.
The only way to survive online is the paywall, all other business models don't work, and news shouldn't be free, not more than food, rent or cars, because journalists must be paid. The idea of free news is cute, but in practice it is absurd.
Maria Petrescu | @sednonsatiata
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domenica 28 aprile 2013
10minuticon Cinzia Bancone @cinziabancone
Qualche giorno fa abbiamo intervistato Cinzia Bancone, giornalista e web voice della trasmissione TV Talk di Massimo Bernardini.
Per quanto riguarda l'evoluzione dei format televisivi, secondo Cinzia nell'ultimo decennio pochissime idee si sono affacciate sulla nostra TV: ci sono molti programmi molto longevi, come Amici, Striscia la Notizia oppure lo stesso Affari Tuoi. Le uniche grandi evoluzioni ci sono state nel mondo dei reality e dei talent show, tutti format nuovi che però vengono da fuori. Ultimamente la novità più interessante è data senz'altro invece dalla social TV, l'interazione tra Internet e TV, che è l'aspetto che più sta facendo raccontare novità in questo scenario. Il linguaggio si evolve, ma se parliamo di format il panorama è abbastanza statico.
Lo stesso ragionamento vale per i programmi di dibattito politico, la tribuna con la contrapposizione tra destra e sinistra. Non ci sono grosse novità nel linguaggio ma è cambiato sicuramente il tono utilizzato all'interno dei talk show, insieme ad una progressiva umanizzazione e spettacolarizzazione della politica. Abbiamo visto politici andare a cucinare nei format, oppure politici che uscivano dal tipico talk show politico per partecipare a programmi in cui fosse più evidente la loro personalità (come nel caso di Matteo Renzi ad Amici).
Purtroppo non ci sono grandissime novità se non quelle dei social network, che hanno cambiato la comunicazione politica televisiva, e hanno fatto sì che i politici avessero un rapporto più diretto con l'opinione pubblica. In qualche modo "scendono dal piedistallo" e hanno la possibilità di interagire con i cittadini, ma anche qui ci sono delle eccezioni, come il caso di Beppe Grillo che non interagisce e non risponde.
E' cambiato drasticamente il modo di lavorare per chi racconta la comunicazione: una volta il punto di riferimento era il rullo delle agenzie stampa, ed erano gli uffici stampa dei politici a dettare l'agenda. Ora succede quasi il contrario, dove sono gli utenti della rete attraverso Twitter e altri strumenti a creare l'agenda.
Nonostante questo, i social non sono riusciti a cambiare veramente il linguaggio televisivo della comunicazione politica, e forse i due mondi non potranno mai realmente integrarsi. Si tratta dopotutto di strumenti che hanno tempi molto diversi, ed è chiaro che per avere una vera interazione è necessaria la diretta, una possibilità che i programmi registrati perdono in partenza. Uno è un mezzo che comunica da un broadcast, e un piccolo staff di persone trasmette a una grande massa; il web è un'altra cosa, ci sono varie nicchie che in qualche modo sono connesse, ed è difficile trovare un modo per far veramente interagire questi due mondi.
Bisogna considerare anche che non tutti coloro che guardano la TV sono degli esperti di social media: il pubblico televisivo è fatto anche di persone anziane, o non pratiche di nuove tecnologie. Anche per questo è necessario rispettare i target di riferimento, ed è anche un bene che la rete resti una cosa e la TV un'altra.
Cinzia ci ha raccontato anche quali studi ha fatto e come è arrivata a lavorare in TV Talk, dunque invito tutti a visionare l'intervista integrale, molto più ricca di questa mia brevissima sintesi.
Maria Petrescu | @sednonsatiata
10minuteswith Cinzia Bancone
A few days ago we interviewed Cinzia Bancone, journalist and webvoice of Massimo Bernardini's TV Talk.
As for the evolution of TV formats, according to Cinzia during the last decade very few ideas have appeared on our TV: there are many old programs, such as Amici, Striscia la Nnotizia, or Affari Tuoi. The only big evolutions have been in the world of realities and talent shows, all new formats that come from abroad. Lately the most interesting news has been social TV, the interaction between the Internet and the TV, which is the aspect that tells the most stories in this scenario. The language evolves, but if we talk about the formats, the scenario is pretty much flat.
The same thing is true for political talk shows, the tribune with the counterposition between left and right. There are no big news in the language, but the tone has changed, and there has been a progressive humanization and spectacularization of politics. We've seen politicians go cook in formats, or politicians who got out of the typical political talk show to participate in programs where their personality was more prominent (as in Matteo Renzi's case at Amici).
Unfortunately there are no great news if not the ones given to us by social networks, which have changed the TV political comunication, and have determined politicians to have a more direct relationship with public opionion. They climb down the pedistall, and have the possibility to interact with citizens, but we have exceptions here as well, as the case of Beppe Grillo, who never answers nor interacts with his followers.
The work of those in comunication has changed drastically: once the reference point was the agency roll, and the press offices of politicians were the one to dictate the agenda. Now it's almost the contrary, with users on Twitter creating the agenda.
In spite of all this, social networks haven't managed to truly change the television language of political communication, and perhaps the two worlds will never truly integrate. They are tools with very different timings, and it is clear that in order to have an interaction, you must broadcast live, a possibility that recorded show already lose. One is a medium that communicates from a small staff of people to a great mass; the web is something different, there are various niches that are somehow connected, and it is difficult to find a way to make the two worlds truly interact.
We must consider that not everyone who watches TV is a social media expert: the TV audience is also made of old people, or people who don't have a grip on technology. This is why it is necessary to respect the reference targets, and it is good that the web remains one thing and TV another.
Cinzia has also told us about her studies and how she started to work in TV Talk, so I invite everyone to view the full interview, much richer than my very brief synthesis.
Maria Petrescu | @sednonsatiata
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sabato 27 aprile 2013
10minuticon Aron Pilhofer @pilhofer #ijf13
Pochi giorni fa abbiamo intervistato Aron Pilhofer, giornalista del The New York Times.
Abbiamo chiesto ad Aron quanto la tecnologia abbia cambiato il modo in cui lavora quotidianamente: a suo avviso è cambiato tutto. Persino la definizione di "giornalista" è cambiata drasticamente negli ultimi anni, e comprende ora figure con un background tecnologico tradizionale, o matematici, statisti, specialisti 3D, grafici... il range di abilità che ora sono comuni in una redazione è davvero ampio, e stravolge completamente il concetto di "redazione" che avevamo fino a pochi anni fa.
Non potevamo non chiedere ad Aron cosa pensa del citizen journalism e del giornalismo iperlocale: quest'ultimo non è una novità negli Stati Uniti, era qualcosa di cui si parlava qualche anno fa, ma è scomparso rapidamente dal radar. Il citizen journalism, invece, è un buzzword molto importante, anche se nessuno realmente sa cosa significhi. Ci sono infatti vari tipi di approcci, dal blog al UGC, e organizzazioni media stanno investendo moltissimo nel settore, facendo emergere dei progetti e dei contenuti molto interessanti.
Quanto alla distinzione tra citizen journalism e citizen reporting, secondo Aron la linea è molto sottile: quello che manca è il citizen journalism investigativo, ed è il punto su cui anche i più zelanti fan del citizen journalism non hanno risposte. Ci sono stati degli esperimenti, mettendo insieme professionisti ed amatori, ma ancora non si è riusciti a replicare quei servizi seri, watchdog, che derivano da due anni di inchieste e ricerche, infinitamente complessi in termini di risorse impiegate.
Un'altra domanda riguarda il data journalism: secondo Aron parte del problema è il fatto che nessuno ha una definizione di cosa sia, e a suo avviso si tratta di un continuum iniziato già 35 anni fa, quando si cominciò a integrare la statistica e le scienze sociali nel giornalismo.
Abbiamo chiesto come è nato DocumentCloud: la genesi è nella frustrazione verso i giornali che non pubblicavano i documenti quando scrivevano di grandi investigazioni, o se lo pubblicavano, lo facevano sotto forma di un grande, inutile PDF. Document Viewer rendeva possibile caricare il file e renderlo ricercabile, e così nacque DocumentCloud, messo poi a disposizione di altri giornali, in modo da creare nuove sinergie intorno alla disponibilità di dati facilmente fruibili.
In chiusura abbiamo parlato del compromesso tra rapidità e qualità dell'informazione: a suo avviso le due cose possono andare di pari passo. Il giornalismo è la prima bozza della storia, e forse un twitterfeed è la prima bozza del giornalismo: questa è la direzione in cui si sta andando, e sarebbe meglio venire a patti con il fatto che non si può più tornare indietro.
Maria Petrescu | @sednonsatiata
10minuteswith Aron Pilhofer
A few days ago we interviewed Aron Pilhofer, journalist for The New York Times.
We asked Aron how much technology has changed the way he works daily: he believes it has changed everything. Even the definition of "journalist" has changed drastically during the last few years, and includes figures with a very traditional technological background, statisticians, 3d specialists, graphic designers... the range of skills that are now common in a newsroom is really wide, making it almost unrecognizable.
We couldn't not ask Aron what he thinks about citizen and hyperlocal journalism: the latter isn't so much of a trend in the US, it's something that came and largely went without leaving anything but a bit of muttering about it every now and then. Citizen journalism is actually a big buzzword, even though nobody really knows what it is. There are many approaches, from blogging to UGC, and media organizations are investing very much in the field, creating interesting projects and contents.
As for the distinction between citizen journalism and citizen reporting, according to Aron the line is very thin: what is missing is investigative citizen journalism, and it's the point on which even the most zealant fans of citizen journalism have no answers. There have been experiments, putting together professionals and amateurs, but there still have been no serious, watchdog investigations that are the result of years of researches and a lot of resources.
Another question regards the data journalism: according to Aron part of the problem is in the fact that nobody has a definition of what it is, and in his opinion it's a continuum started 35 years ago, when social sciences and statistics were starting to get integrated into journalism.
We asked how Document Cloud was born: the origins is in the frustration towards media organizations that didn't publish documents when they wrote about big investigations, or if they did, they would publish a big, ugly, unusable PDF. Document Viewer allowed to upload the file and make it searchable, and so Document Cloud was born, and made available to other media organizations as well.
Finally we talked about the compromise between speed and quality: Aron believes the two do not exclude eachother. Journalism is the first draft of history, and maybe a twitterfeed is the first draft of journalism: this is the direction we're going in, and it would be good to realize that there is no going back.
Maria Petrescu | @sednonsatiata
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#Storiedeldisonore: corvi e veleni attorno a #Falcone
Il 30 gennaio del 1992 la Cassazione ribalta la sentenza d’appello del maxi-processo a Cosa Nostra istruito da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Tutte confermate le condanne all’ergastolo del primo grado di giudizio.
La ricostruzione del pool di Palermo, integrata dal “teorema Buscetta”, per la Suprema Corte è corretta. “Sicuramente un punto di partenza, e non uno di arrivo”, commentò Giovanni Falcone nel corso di una intervista alla RAI.
Eppure il pool antimafia di Palermo, con il suo metodo di indagine era già un ricordo lontano dal 1988. In quell’anno si sceglie il nuovo capo delle procura di Palermo (allora ufficio istruzione). A lasciare il posto è Antonino Caponnetto, il bravo magistrato toscano cui si deve l’idea e la determinazione della formazione della squadra di magistrati che portò alle più importanti indagini sulla mafia negli anni ’80.
L’aria nelle stanze del Palazzo di Giustizia di Palermo in quei mesi si fa sempre più irrespirabile, e a concorrere alla carica di procuratore capo ci sono Giovanni Falcone, e Antonino Meli, un magistrato che fino a quel momento non ha mai svolto indagini su fatti di mafia, ma ha dalla sua una maggiore anzianità di servizio rispetto allo stesso Falcone.
La scelta dei colleghi di Falcone finì infatti, tra mille polemiche, su Antonino Meli. 15 voti contro 12.
«Quando Giovanni Falcone solo, per continuare il suo lavoro, propose la sua aspirazione a succedere ad Antonino Caponnetto, il CSM, con motivazioni risibili gli preferì il consigliere Antonino Meli. Falcone concorse, qualche Giuda si impegnò subito a prenderlo in giro, e il giorno del mio compleanno il CSM ci fece questo regalo. Gli preferì Antonino Meli».
Questo fu il commento di Paolo Borsellino il 25 giugno del 1992, a un mese dalla strage di Capaci in cui perse la vita Giovanni Falcone. A favore di Falcone, per dovere di storia e di cronaca votarono i consiglieri Abbate, Brutti, Calogero, Caselli, Contri, D’Ambrosio, Gomez d'Ayala, Racheli, Smuraglia e Ziccone. Contro Falcone Agnoli, Borrè, Buonajuto, Cariti, Di Persia, Geraci, Lapenta, Letizia, Maddalena, Marconi, Morozzo Della Rocca, Paciotti, Suraci e Tatozzi. Si astennero Lombardi, Mirabelli, Papa, Permacchini e Sgroi.
Si apre una stagione di corvi e veleni con una storia che sembra ancora tutta da scrivere. All’interno del Palazzo di Giustizia di Palermo iniziano a girare missive che accusano Falcone di pilotare i pentiti, così come altri investigatori dell’antimafia. Per quelle missive viene condannato per diffamazione in primo grado il magistrato Alberto Di Pisa, poi prosciolto per non aver commesso il fatto, a causa dell'inutilizzabilità del materiale probatorio raccolto. In questo clima matura il fallito attentato all’Addaura, dove Giovanni Falcone si erar recato con i magistrati svizzeri Carla del Ponte e Claudio Lehmann per disporre alcune rogatorie su inchieste riguardanti il riciclaggio nello stato elvetico.
L’attentato fallì, e Falcone parlò chiaramente di “menti raffinatissime” dietro a quello scenario che si era scatenato attorno alla sua figura e alla sua indagine. Intanto nel 1989 anche quella politica che oggi si fa paladina dell’antimafia inizia ad attaccare Falcone. Tutto nasce in particolare dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Giuseppe Pellegriti, il quale svela al pm Libero Mancuso alcuni retroscena riguardanti il ruolo di Salvo Lima nell’ambito degli omicidi di Piersanti Mattarella e Pio La Torre.
Mancuso avvisa Falcone che interroga Pellegriti e cerca riscontri. Risultato: Giovanni Falcone incrimina Pellegriti insieme all’estremista di destra Angelo Izzo (uno dei condannati per la strage del Circeo). Il ‘nero’ Izzo avrebbe infatti, rinchiuso con Pellegriti nel carcere di Alessandria avrebbe infatti pilotato le dichiarazioni di Pellegriti. Il giudice li incriminerà entrambi per calunnia aggravata. Da lì in poi personaggi come Leoluca Orlando arrivarono ad accusare Falcone di tenere i dossier “chiusi nei cassetti”, e sostanzialmente di non voler far luce sugli omicidi politici di Cosa Nostra. Una polemica che continuerà fino all’uccisione di Giovanni Falcone... [to be continued]
Luca Rinaldi | @lucarinaldi
Stories of dishonor: crows and poisons around Giovanni Falcone
On the 30th of January, 1992, the Cassazione changes the appeal verdict of the maxitrial to Cosa Nostra, instructed by Giovanni Falcone and Paolo Borsellino. All confirmed the life in prison verdicts of the first degree of judgement. The reconstruction of the Palermo pool, integrated by the "Buscetta theorem", is correct according to the Supreme Court. "Surely a starting point, not a goal.", commented Giovanni Falcone during an interview with RAI.
And yet the Palermo antimafia pool, with its inquiry methods was already a distant memory since 1988. In that year the new head of the Palermo desk is chose. Leaving his place is Antonino Caponnetto, the great Tuscan judge who had the idea and the determination to form a team of judges that lead to the most important inquiries about the mafia in the 80s.
The air in the rooms of the Palace of Justice in Palermo during those months becomes heavier and heavier, and running for the place are Giovanni Falcone and Antonino Meli, a judge who until that moment had never done any inquiries on mafia matters, but has more years in service than Falcone himself.
The choice of Falcone's colleagues ended, amongst a thousand comments, on Antonino Meli. 15 votes against 12.
"When Giovanni Falcone alone, in order to continue his work, proposed his aspiration to take Antonino Caponnetto's place, the CSM with ridiculous motivations preferred the counselor Antonino Meli. Falcone tried, some Judas immediately ridiculed him, and on my birthday the CSM made us this gift. They preferred Antonino Meli."
This was Paolo Borsellino's comment on the 25th of June 1992, one month away from the Capaci massacre in which Giovanni Falcone lost his life. In favor of Falcone, for the good of history, the votes of counselors Abbate, Brutti, Calogero, Caselli, Contri, D’Ambrosio, Gomez d'Ayala, Racheli, Smuraglia and Ziccone. Against him, Agnoli, Borrè, Buonajuto, Cariti, Di Persia, Geraci, Lapenta, Letizia, Maddalena, Marconi, Morozzo Della Rocca, Paciotti, Suraci and Tatozzi. Lombardi, Mirabelli, Papa, Permacchini and Sgroi did not vote.
This opens a season of crows and poisons with a story that still seems all to be written. Inside the Palace of Justice of Palermo, letters start to circulate, incriminating Falcone of directing the collaborators of justice, as others investigators of the antimafia. For those letters the judge Alberto Di Pisa is condemned for slaunder, and then released for not committing the fact, because of the unusability of the evidence. In this climate the failed attack at the Addaura matures, where Giovanni Falcone had gone together with the Swiss judges Carla del Ponte and Claudio Lehmann in order to prepare a few letters of request on inquiries regarding the money laundry in Switzerland.
The attack failed, and Falcone clearly talked about "refined minds" behind the scenario that had unleashed itself around his figure and his inquiry. In the meanwhile, in 1989 the same politics that today proclaims itself to be a champion of antimafia starts to attack Falcone. All is born in particular from the statements of the collaborator of justice Giuseppe Pellegriti, who reveals to Libero Mancuso a few details regarding Salvo Lima's role in the Piersanti Mattarella and Pio La Torre homicides.
Mancuso tells Falcone he's interrogating Pellegriti and searches for confirmation. Result: Giovanni Falcone incriminates Pellegriti together with the right wing extremit Angelo Izzo (one of the condemned for the Circeo massacre). The "black" Izzo, incarcerated together with Pellegriti in the Alessandria prison, would have piloted Pellegriti's statements. The judge condemnes both of them for slander. From that moment on, people like Leoluca Orlando arrived to accuse Falcone of keeping the dossiers "closed in his drawers", and substantially being unwilling to make light on the political homicides of Cosa Nostra. A discussion that will continue until Giovanni Falcone's murder.
Luca Rinaldi | @lucarinaldi
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venerdì 26 aprile 2013
10minuticon Douglas Arellanes @dougiegyro #ijf13
Qualche giorno fa abbiamo intervistato Douglas Arellanes, co-fondatore di Sourcefabric.
Innanzitutto abbiamo chiesto a Douglas che cosa sia Sourcefabric: si tratta di un'organizzazione non profit che fornisce supporto tecnologico per media indipendenti, sia in paesi sviluppati che in paesi in via di sviluppo. Il tipo di supporto che forniscono è fondamentalmente nello sviluppo di strumenti che permettono un giornalismo di qualità, e la loro implementazione nelle redazioni.
Uno degli esempi più interessanti è la collaborazione con 11 giornali nella ex repubblica sovietica della Georgia, ma anche con un settimanale di Basel, in Svizzera. Tutto questo seguendo sempre il principio dell'open source, che permette di mettere a disposizione anche ad altri il software che viene sviluppato per queste organizzazioni, e in maniera molto più economica ed efficace.
Abbiamo chiesto come pensa che le rivoluzioni cambieranno, ora che i social media sono stati utilizzati in maniera così massiccia durante la Primavera Araba, e se le stesse condizioni si potranno ripresentare ancora: Douglas è scettico relativamente al ruolo della tecnologia nel permettere che le rivoluzioni avvengano. Quelle rivoluzioni sono avvenute grazie a delle persone coraggiose, disposte a mettere a rischio le proprie vite: non si fanno le rivoluzioni con i Like e i Retweet. E' scettico inoltre sull'uso di quel tipo di strumento per lo scopo di una rivoluzione: si tratta di due cose separate e molto diverse, il ruolo dei social è diffondere le informazioni. Ciò che le persone poi fanno con quelle informazioni è tutt'altra questione interamente.
Si lavora in un ambiente media molto difficile, dove diventa complicato avere informazioni accurate e non di parte: in particolare le informazioni che non sono coperte dai media tradizionali diventano estremamente virali, e condivise massivamente sui social media. Ci si fa così un'idea più precisa di cosa funziona meglio con i lettori, perché gli esseri umani sono filtri straordinari: non condivideranno notizie che li fanno sembrare noiosi, o stupidi, ma informazioni preziose su cosa sta succedendo nel proprio mondo.
Naturalmente abbiamo chiesto che ne pensa della distinzione tra reporting e giornalismo, e il futuro del citizen journalism: a suo avviso non c'è bisogno di un diploma per essere un giornalista, il giornalismo non è neurochirurgia. C'è spazio per tutti i tipi di giornalismo, incluso il reporting investigativo e il citizen journalism: lo spettro di ciò che possiamo definire "giornalismo" è molto ampio, e devono essere incoraggiati, non deve diventare un club esclusivo per persone che hanno una laurea su come scrivere un titolo.
Le redazioni non hanno soldi, quindi bisogna inventarsi nuovi modi creativi per estendere la copertura: una di queste modalità è la condivisione delle risorse, e la collaborazione tra redazioni, ma anche condivisione di tecnologia e del know-how. Superdesk è il framework utilizzato da Sourcefabric per costruire nuove news app, che contiene anche quelle già costruite.
Douglas ci ha raccontato anche quali saranno i suoi prossimi progetti intorno al mondo, quindi invito tutti a visionare l'intervista integrale, ben più ricca di informazioni rispetto a questa mia breve sintesi.
Maria Petrescu | @sednonsatiata
10minuteswith Douglas Arellanes
A few days ago we interviewed Douglas Arellanes, co-founder of Sourcefabric.
First of all we asked Douglas what Sourcefabric is: it is a non profit organization devoted to providing technological support for independent media organizations, both in developed and developing countries. The type of support they provide is in the development of tools that enable quality journalism, and their integration in newsrooms.
One of the most interesting examples is the collaboration with 11 media organizations of the ex soviet republic of Georgia, but also with a weekly paper in Basel, Switzerland. All of this following the principle of open source, which allows to make the software available to other organizations in a much cheaper and more effective way.
We asked how he thinks that revolutions will change, now that social media have been use so massively during the Arab Spring, and whether the same conditions will present themselves again: Douglas is skeptical regarding the role of technology in allowing revolutions to happen. These revolutions happened thanks to brave people who were willing to put their lives on the line, you don't do a revolution with Likes and Retweets. He is also skeptical about the use of that kind of tool for the purpose of a revolution: they are two very different things, and the role of social media is bringing out the word to as many people as possible. What the people do with the information is another question entirely.
They work in a very difficult media environment, where it becomes complicated to have accurate and nonbiased information: in particular the information that isn't covered by traditional media are extremely viral, and shared massively on social media. So you get a better idea of what connects better with readers, because human beings are extraordinary filters: they won't share information that will make them look stupid, or boring, but valuable information about what is happening in their world.
We also asked what he thinks about the distinction between reporting and journalism, and the future of citizen journalism: he believes there is no need of a diploma to be a journalist, journalism isn't brain surgery. There is space for all kinds of journalism, including investigative reporting and citizen journalism: the range of what we can define as journalism is very wide, and all of them must be encouraged. It shouldn't be an exclusive club for people who have a degree on how to write a lead.
Newsrooms have no money, so they have to invent new creative ways to extend coverage: one of these is resource sharing, the collaboration between newsrooms, but also sharing technology and know-how. Superdesk is the framework they use to build news apps, and also has the ones they've already made.
Douglas has also talked about his upcoming projects and trips, so I invite you all to view the full interview, much richer in information than my brief synthesis.
Maria Petrescu | @sednonsatiata
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Dialoghi con Gennariello: la genesi di un'opera
Gennariello: Salve, Pasquale.
Pasquale: Buon giorno, Gennariello.
Gennariello: Come stai? Anzi, no, aspetta, cambio la domanda, dopo averti meglio osservato: cosa ti rende così allegro?
Pasquale: Beh, incontrarti, ascoltarti, passeggiare sotto il Sole di aprile…
Gennariello: Certo. Grazie… Ma c’è qualcos’altro…
Pasquale: Sì. Sta per arrivare a Roma Luis, Luis Razeto.
Gennariello: Il coautore de ‘La Vita Nuova’? Il corso di scienza della storia e della politica che sto leggendo?
Pasquale: Proprio lui. E questo mi rende ancora più allegro del solito. (Io sono allegro nonostante tutto – è una questione di carattere.) Luis ed io ci incontriamo per scrivere una nuova opera.
Gennariello: Davvero? Come si intitola?
Pasquale:‘L’Ultima Cena’.
Gennariello: Ah… Una terza opera a partire da Gesù, dopo la sceneggiatura per un film ‘Getsemani’… e il romanzo filosofico ‘Il progetto di Gesù’…
Pasquale: Proprio così.
Gennariello: E di cosa parlerà?
Pasquale: Della vita, della morte, della resurrezione, dell’amore, del potere…
Gennariello: A proposito di scrittura – volevo proprio chiederti come scrivete, voi due, le vostre opere. Mi colpisce proprio la scrittura de ‘La Vita Nuova’ che sto leggendo.
Pasquale: Scriviamo insieme, alla lettera. Ci viene un’idea, certe realtà, certe opere, prendiamo appunti, discutiamo, riflettiamo… e infine scriviamo l’opera.
Gennariello: Ah… Strano, scrivere veramente insieme, senza dividersi le parti. E in questo caso, per esempio?
Pasquale: Stiamo studiando da sei mesi, secondo un progetto comune, un insieme di fenomeni, e una serie di opere, e prendendo note su un documento condiviso degli studi fatti, e delle discussioni settimanali via Skype… Ora è venuto il momento di scrivere, l’uno a fianco dell’altro. Luis viene in Italia, poi io andrò in Cile.
Gennariello: E quanto durerà la scrittura?
Pasquale: Fin quando il testo sarà compiuto.
Gennariello: E quanto è durato il processo di studio e scrittura de ‘La Vita Nuova’?
Pasquale: Un paio d’anni.
Gennariello: Grazie… Ma… non ci prendiamo un caffè?
Pasquale: Certo. Oggi, però, offro io. E a una condizione?
Gennariello: Quale?
Pasquale: Che parliamo d’altro, ora. Per esempio, di te. Dei tuoi progetti.
Gennariello: D’accordo. Me ne frulla uno in particolare in testa.
Pasquale: Bene. Raccontamelo. La prossima volta che scriverò sul blog di Maria e Jacopo lo riferirò per filo e per segno a coloro che seguono i nostri dialoghi. Loro, come me, sono molto interessati ai progetti di Gennariello.
Pasquale Misuraca | @pasqualmisuraca
Dialogues with Gennariello: the genesis of a work
Gennariello: Hello, Pasquale.
Pasquale: Hello, Gennariello.
Gennariello: How are you? Or rather, let me change my question, now that I've seen you better: why are you so happy?
Pasquale: Well, meeting you, listening to you, walking under the April sun...
Gennariello: Yes, of course. Thank you... But there's something else...
Pasquale: Yyes. Luis is coming to Rome, Luis Razeto.
Gennariello: The co-author of "La Vita Nuova"? The course of science of history and politics I'm reading?
Pasquale: Yes, him. And this makes me even happier than usual. (I'm always happy in spite of everything, it's a matter of character.) Luis and I are meeting to write a new work.
Gennariello: Really? What is it called?
Pasquale: "The Last Supper".
Gennariello: Oh... a third work starting from Jesus, after the script for the movie "Getsemani" and the philosophical book "The project of Jesus"...
Pasquale: Precisely.
Gennariello: What will it be about?
Pasquale: About life, death, resurrection, love, power...
Gennariello: Talking about writing - I wanted to ask you how you write, the two of you. I'm fascinated by the writing of "La Vita Nuova", which I'm reading right now.
Pasquale: We literally write together. We get an idea, some realities, certain works, we take notes, discuss, think... and finally we write the work.
Gennariello: That's strange, you really write together, without dividing the parts. And in this case, for example?
Pasquale: We've been studying for six months, according to a common project, a collection of phenomenons, and a series of works, and taking notes on a shared document of the studies, and the weekly discussions on Skype... Now it's time to write, together. Luis comes to Italy, and then I'll go to Chile.
Gennariello: And how long will it take?
Pasquale: Until the text will be done.
Gennariello: And how long did it take to study and write "La Vita Nuova"?
Pasquale: A couple of years.
Gennariello: Thank you. But, should we take a cup of coffee?
Pasquale: Of course. But today it's on me. And on one condition.
Gennariello: Sure, which one?
Pasquale: That we talk about something else now. About you, your projects.
Gennariello: Alright. I have one in particular in mind.
Pasquale: Tell me about it. Next time I'll write about it on Maria and Jacopo's blog and I'll describe it in detail to those who follow our dialogues. They're very interested in Gennariello's projects.
Pasquale Misuraca | @pasqualmisuraca
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giovedì 25 aprile 2013
#Napolitano vs. #Rodotà o @pdnetwork vs. @mov5stelle: duello o flashmob?
Napolitano è Presidente della Repubblica per la seconda volta, mai successo nella storia repubblicana, ma nella costituzione non c'è nessun divieto.
Si azzerino tutte le questioni e i rumori su golpe o golpettini, ma nel nostro paese il fantasma e l'archetipo del colpo di stato c'è sempre stato, dal Piano Solo a quello Borghese, passando per i sotterranei della storia del paese.
L'ha ribadito lo stesso Stefano Rodotà che ha ammesso che tutto si è svolto in piena legittimità. Sappiamo tutti cosa è successo, il caos, la frantumazione del PD e poi la rielezione. Napolitano nel suo discorso ha sferzato i partiti, che l'hanno applaudito, forse non l'hanno ascoltato fino in fondo, comunque ora è nuovamente nel pieno dei suoi poteri.
Ora la candidatura di Rodotà era già iniziata a circolare da mesi, anche su twitter, poi ci sono state le quirinarie del cinquestelle e dopo l'abbandono di Gabanelli e Strada, il giurista cosentino è diventato il candidato di bandiera del movimento/partito di Casaleggio/Grillo. Da lì è diventato, vox populi, il candidato di tutti gli italiani, degli italiani tutti, per cielo terra e mare. Poi stamattina arrivano i risultati delle famose Quirinarie, dove Rodotà ha ricevuto ben 4.677 voti. Prima cosa perché se alle elezioni politiche di Febbraio i cinquestelle hanno preso circa 8.700.000 voti, possono votare solo in 48.000? Perchè devono essere iscritti entro dicembre 2012? Perchè temono infiltrazioni! A parte la paranoia del ragionamento, poi i problemi ci sono stati lo stesso e non i temibili hacker venuti dallo spazio profondo.
Certo poi ci vuole molto coraggio a dire che Rodotà con queste cifre è il candidato di tutti gli italiani, uscire da Montecitorio coi cartelli stampati a casa, gridare alla morte della repubblica, al golpe, alla marcia su Roma. Ci vuole coraggio! O no? O ci vuole preparazione per mettere a segno una sorta di flashmob lungo qualche giorno, che porti alla massima confusione del tuo avversario giurato, che non ha bisogno, per guadagnare consensi, visto che ci sono le elezioni regionali in Friuli e altre in due mesi? Possibile che solo in pochi ci siamo chiesti se questa non fosse una recita? Davvero volevano Rodotà presidente? Parliamo di una persona stimata e degna che però non ha mai risparmiato critica a Grillo, m5s e democrazia elettronica.
E Rodotà? Caduto nel tranello? Non so. Certo non è proprio un personaggio che possa essere in sintonia con i dettami del mondo grillino (professore universitario, uomo delle istituzioni, qualcuno mormora anche raccomandazioni alla figlia giornalista al Corsera, ma sono solo squallidi pettegolezzi). Certo aveva dei motivi di rivincita personale verso Napolitano. 1992, Napolitano viene eletto alla presidenza della Camera dei deputati, carica promessa al presidente del PdS, proprio il professor Rodotà all'epoca, che poi lasciò il partito. Lo so che suona strano, ma anche la risposta piccata che ha dato sulla mancata comunicazione con Bersani, suona di rivincita, di ferita aperta, di vanità colpita. Certo poi è venuta la responsabilità e la coscienza, però il comportamento, diciamo, da statista, non è senza macchia e senza paura. Davvero Rodotà non ha pensato che poteva essere una manovra? Un inciucio di tipo diverso? A me il dubbio resta.
L'errore del Pd non è non aver votato Rodotà, cosa che poteva fare, ma poi sarebbe finito nell'inciucio con Grillo, ma quello di aver sbagliato la candidatura di Marini, per poi ripiegare su Prodi e non so su chi altro se Napolitano non avesse accettato. Una non-strategia che rispecchia quanto manchi una prospettiva politica nazionale e che ora necessiti di un congresso vero, che non sarà facile, ma i nodi devono essere risolti, anche a costo di tagliarli come fece Gordio. Comunque gli "inciuci", termine orribile, posso essere molti di più di quanti immaginiamo. Fa pensare.
Simone Corami | @psymonic
Napolitano - Rodotà or PD - M5S: duel or flashmob?
Napolitano is President for the second time, it has never happened in the history of the Republic, but there's nothing against it in the Constitution.
So let's please silence all the rumors and gossipping about a golpe, even though our country has always been prone to these kinds of things, from Piano Solo to Borghese, not to mention all the underground plots in the history of the Republic.
The same Stefano Rodotà has reminded this, and has admitted that everything was done in full legitimacy. We all know what happened, the chaos, the breaking of the PD and then the re-election. Napolitano in his speech has beaten down the parties, who clapped their hands, maybe because they didn't fully understand what he said, but however now he has his full powers once again.
Now Rodotà's candidacy had already started to be around for months, even on Twitter, then the quirinaries of the M5S and the refusal of Gabanelli and Strada, the jurist from Cosenza has become the flag candidate of the movement/party of Casaleggio/Grillo. From there it has become, vox populi, the candidate of all Italians, of Italians all, on earth and on sea. Then the results of the famous Quirinaries, where Rodotà has received 4.677 votes. First of all, if at the February political elections the 5 stars have received 8.700.000 votes, how is it that only 48.000 people can vote? Why do they have to be part of M5S since before December 2012? Because they're afraid of infiltrations! Apart from the paranoia of the reasoning, the poblems have appeared anyway, and not the terrible hackers came from outerspace. Of course, you have to have some guts to say that Rodotà is the candidate of all Italians with these numbers, go out of Montecitorio with the signs printed at home, shout at the death of the Republic, the golpe, the march on Rome.
You need courage! Or not? Or maybe you need preparation to strike a sort of flashmob that lasts a few days, that brings the maximum of confusion of your sworn enemy, since there are the regional elections in Friuli and others in just a couple of months? Is it possible that only a few of us have asked ourselves whether all of this was just a play? Do they really wanted Rodotà as president? We're talking about an esteemed and worthy person, who however has never saved his critiques to Grillo, M5S and electronical democracy.
And Rodotà? Has he fallen for it? I don't know. Of course, he's not the kind of person who can be in synthony with the dictates of the Grillo world (University professor, man of the institutions, someone also rumors about recommendations for the daughter, journalist for Corriere della Sera, but these are just filthy rumors). Of course he had personal reasons towards Napolitano. 1992, Napolitano is elected at the Presidency of the Chamber, a role which was promised to the President of PdS, at that time Professor Rodotà, who afterwards left the party. I know it sounds strange, but even the answer he gave on the missed communication with Bersani, sounds like an open wound, a stricken vanity. Of course, then comes responsibility and conscience, but the behavior - let's say - isn't without stain and without fear. Did Rodotà really not think that it could be a manneuver? I still have the doubt.
The mistake of the PD wasn't not voting Rodotà, which they could have done, but then it would have ended in the compromise with Grillo, but getting Marini's candidacy wrong, and then go to Prodi and who knows who else if Napolitano had said no. A non-strategy that perfectly illustrates how a national political perspective is lacking and that now it needs a true congress, which won't be easy, but the knots must be resolved, even if it means to cut them as Gordio did. However the "compromises", a horrible term, can be many more than we can imagine. It makes you wonder.
Simone Corami | @psymonic
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mercoledì 24 aprile 2013
#Socialmedia e il mondo online come sacra reliquia
Per secoli si è parlato della ricerca del Sacro Graal, descritto nelle storie come la coppa da cui Gesù bevve durante l'Ultima Cena.
In verità, le icone associate a Gesù e ad altre figure sacre sono state sempre molto richieste. Durante il Medioevo, le città creavano usanze di devozione basate sulla mascella o sull'unghia di un santo che la chiesa locale custodiva. Queste reliquie erano portate in battaglia e supplicate quando la situazione diventava difficile. Le persone credevano, e molte credono ancora, che questi oggetti - sacri per associazione - possano risolvere ogni male.
Di questi tempi, per quanto sacrilego questo possa sembrare, i social media hanno quasi ottenuto lo status di una di queste sacre reliquie. Se si guarda al mondo online in un certo modo, e con dei paraocchi importanti, i social media hanno il potenziale per curare quasi ogni male. Se ci mettiamo insieme online, possiamo raccogliere abbastanza soldi per risolvere il problema della fame nel mondo. Le persone sole trovano compagnia. I disoccupati trovano lavoro, o diventando consulenti social media loro stesi oppure promuovendo la propria attività online in modo da ottenere il tipo di lavoro che desiderano. I depressi possono trovare la felicità semplicemente chiedendo attenzione su Facebook e Twitter. I malati possono trovare energia positiva postando la loro situazione online. In effetti, i social media sembrano avere il potere per rispondere a tutte le domande e guarire ogni male.
Durante l'era delle icone, chiaramente c'era anche uno svantaggio. Le sacre reliquie del passato venivano a volte rubate. Le città andavano in guerra per decidere a chi appartenesse realmente la reliquia o da chi il santo voleva che la reliquia andasse. A volte, forse, la reliquia non funzionava come pianificato, e le persone erano lasciate a valutare sotto quale tipo di maledizione vivessero, tale da rendere il sacro oggetto inefficiente nel tentativo di risolvere i problemi delle loro vite.
Allo stesso modo, il potere dei social media ha molti svantaggi, ma temo che la società moderna, sedotta dal loro potere, possa essere cieca nell'individuarli. Le persone seguono i "guru" online senza discutere, e sono ispirate da numeri come ad esempio quello dei follower che una persona ha su Twitter. Le persone iniziano a investire in connessioni online a spese della propria famiglia e dei propri amici di una vita. E poi c'era la vignetta che circolava qualche anno fa, che illustrava i funerali di una social media star molto popolare. Erano venute solo un paio di persone.
Mi preoccupo del fatto che stiamo entrando in un periodo in cui diventeremo troppo fiduciosi nel potere apparente del mondo online. Inizieremo davvero a credere che i social media potranno curare i nostri mali, e nutriremo la nostra dipendenza da social media perché siamo convinti che ne avremo vantaggi in proporzione. Questa, tuttavia, è una casa costruita sulle sabbie mobili. Alla fine i social media ci invitano, più di qualsiasi altra cosa, ad essere narcisisti, egoisti, e auto-celebrativi. Se facciamo tutte queste cose, come possiamo essere generosi come vorremmo far credere di essere? Che cosa succederà quando le persone capiranno che la loro comprensione dei social media come reliquia moderna era una mitologia e nulla più?
Gli esseri umani sono sempre stati affascinati dal proiettile d'argento, il modo più veloce per rendere tutto perfetto. I social media sembrano essere, per alcuni, l'ultimo esempio di questo tipo. Io ho paura di quelle persone. Voi no?
Marjorie Clayman | @margieclayman
The online world as a holy relic
For centuries now, people have talked about the search for the Holy Grail, told in stories to be the cup Jesus drank from at the Last Supper.
Indeed, icons associated with Jesus and other holy figures have always been in high demand. During the Middle Ages, towns would create devotional customs based around a saint’s jawbone or fingernail that the local church guarded. These relics were carried into battle and were pleaded with when times got tough. People believed, and many still believe, that these objects, holy by association, can fix all evils.
These days, as sacrilegious as it may seem, social media has nearly attained the status of one of these sacred relics. If you look at the online world in a certain way, and with significant blinders on, social media carries the potential to cure almost all evils. If we band together online, we can raise enough money to solve the hunger problem in the world. Lonely people can find companionship. The unemployed can find jobs, either by becoming social media consultants themselves or promoting themselves online so that they can get the kinds of jobs they want. The depressed can find happiness merely by crying out for attention on Twitter or Facebook. The sick can receive positive energy by posting their situations online. Indeed, social media seems to have the power to answer all questions and cure all ills.
During the age of the Icons, there was of course a downside. The sacred relics of the past were sometimes stolen. Towns sometimes went to war over who really owned the relic or to whom the saint most wanted the relic to go to. Sometimes, perhaps, the relic would not work as planned, and people were left to ponder what kind of curse they lived under that this obviously sacred item did not fix their lives.
Similarly, the power of social media has many downsides, but I fear that modern society, seduced by its power, may be blinded to them. People follow online “gurus” without question and are inspired by numbers like how many followers a person has on Twitter. People begin to invest in online connections at the expense of their family and long-time friends. Then there is the comic that circulated a few years ago showing the funeral of a very popular social media star. Only a couple of people showed up.
I worry that we are heading into a time when we will become too reliant on the apparent power of the online world. We will really begin to believe that social media can cure our ills, and we will feed our addiction to social media because we assume what we will get back will be equivalent in value. This, however, is a house made on quick sand. In the end, social media invites us, more than anything else, to be self-centered, narcissistic, selfish, and self-promotional. If we are all doing those things, how can we be as giving as people may think we are? What will happen to people when they realize that their understanding of social media as a modern relic was a mythology and nothing more?
Humans have always been fascinated by the “silver bullet,” the quickest way to make everything perfect. Social Media seems, to some, to be the latest example. I fear for those people. Don’t you?
Marjorie Clayman | @margieclayman
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lunedì 22 aprile 2013
Intervistato.com | Stefano Quintarelli @quinta
Abbiamo intervistato Stefano Quintarelli, uno dei pionieri nella introduzione di Internet in Italia e candidato alla Camera con la lista "Scelta civica con Monti".
In primo luogo abbiamo chiesto a Stefano se in Italia sia possibile fare seriamente open source, oppure se bisognerà sempre cedere davanti alle resistenze delle aziende: a suo avviso già ora si "fa open source" seriamente in Italia, la domanda è se effettivamente le imprese siano in grado di recepire le offerte. Come in molti altri casi, si tratta di un fatto culturale, e in Italia siamo indietro su tutte le questioni culturali che riguardano le tecnologie. Sarebbe interessante affidare alla RAI il ruolo di diffondere queste pratiche, come già anticipato da Mario Monti.
Inoltre abbiamo chiesto se sia giusto pagare il canone aggiuntivo che grava su privati e professionisti che utilizzano l'ADSL: storicamente la remunerazione della rete dell'operatore monopolista - ma non solo - era basata sul traffico voce. I prezzi prevedevano dunque che una parte del costo della linea dati venisse coperta dalla parte voce, motivo per cui si è resa necessaria una maggiorazione.
Stefano è d'accordo sul fatto che non si possa imporre a Telecom l'esproprio e lo scorporo della rete fisica, anche perché le leggi non lo consentono. Va fatto un percorso che riesca a far combaciare gli interessi di tutti gli operatori.
Per quanto riguarda l'alfabetizzazione digitale con l'uso di volontari, si tratta di un'operazione complessa: ci sono state delle buone pratiche in Veneto, che aiutano a superare il digital divide culturale, ma ci sono altre regioni in cui non ha funzionato. Intervenire dunque in modo diretto no, ma sicuramente sarebbe interessante stimolare il ruolo del "terzo settore" - in senso lato - che intervenga a supporto di questo genere di iniziative.
Spesso si parla del fatto che il divario digitale sia in realtà inferiore a quello percepito: questo avviene secondo Stefano perché i dati usati sono quelli sulla copertura dell'ADSL e della fibra ottica, ma ci sono tanti privati che forniscono copertura wireless che sfugge ai censimenti, e che operano perlopiù nelle zone che in teoria sarebbero digital divise.
Abbiamo chiesto a Stefano come mai abbia deciso di candidarsi: in verità non si è candidato, ma ha ricevuto un'offerta per la sua disponibilità. Non aveva precedentemente fatto alcun passo in questa direzione, e non era nemmeno tra i suoi piani per il futuro. Ha accettato perché c'era la possibilità di farlo in una situazione dove non c'era una connotazione politica precedente: che ci siano delle alleanze è una conseguenza diretta di questa legge elettorale.
Come ha spiegato anche il Presidente Monti, il meccanismo delle regole parlamentari associato al prodotto della legge elettorale rende impossibile fare delle riforme quando i gruppi devono accontentare le ali estreme: in poche parole, il bipolarismo sta frenando la modernizzazione nel nostro paese.
Vi invito a visionare l'intervista integrale, molto più ricca di dettagli rispetto a questa mia breve sintesi.
Maria Petrescu | @sednonsatiata
Intervistato.com | Stefano Quintarelli
First of all we asked Stefano whether it is possible to do open source for real in Italy, or whether it will always be necessary to give in to the resistance of companies: he believes that we already "do open source for real" in Italy, the question is whether companes are capable of receiving the offers. As in many other cases, it's about the cultural aspect, and in Italy we're far behind on all the cultural matters which regard new technologies. It would be interesting to give to RAI the task of spreading these practices, as Mario Monti has already anticipated.
As for the use of Twitter by mainstream journalists, Stefano thinks that it's just a trend, an imitation of what's being done in the US: some have understood the medium and make good use of it, others simply are carried along.
We asked Massimo how he explains the wave of Italian journalists on Twitter, considering these facts, and he interprets with as he did with blogs and mainstream newspapers in the past. It's basically a trend, and an overestimated one: who already has space on old media, only uses it as an additional tool that sometimes is used in the right way, others not.
We also talked about the integration of social media, traditional journalism and blogs, that in Massimo's opinion represent a single matter. Journalism has changed rapidly together with the growth of the web, which is way it is now crucial to integrate the traditional activity with the filter activity, and not just produce content, since there's so much of it out there.
There are many interesting people who write online and that don't have the journalist card, but that are in every way a resource: the information world becomes wider, not filtered by the journalistic system anymore, and therefore richer.
We asked Massimo what his media diet is and what his definition of journalism is, since he doesn't believe it belongs just to journalists anymore, but it belongs to anyone who wants to be a filter between the public opinion and the news.
We also talked about Eraclito and the evolution of corporate communication, especially about social media use for businesses, about the Cluetrain Manifesto and some predictions for the future of these tools.
I invite everyone to view the full interview, much richer in details and insights than my brief synthesis.
Enjoy!
Maria Petrescu | @sednonsatiata
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#OccupyPD: adesso è colpa dei giovani se il @pdnetwork è affondato
Ieri in una intervista a SkyTg24 Rosy Bindi tra le altre cose ha detto che la colpa, o parte di essa, nelle vicende drammatiche e grottesche (e questo lo dico io) del PD nell'affaire Quirinale è dei giovani eletti nel PD con le primarie volute da Bersani.
Li si accusa di inesperienza e della non consapevolezza del loro ruolo istituzionale. Dice anche che molti, vittime della loro inesperienza sono stati teleguidati da una parte cinica della vecchia guardia. Insomma, una parte di loro sarebbe nelle fila dei franchi tiratori. La Bindi quelle primarie parlamentari non le voleva, è chiaro, e lo ribadisce così come sottolinea la responsabilità di Bersani nell'aver voluto perseguire su quella linea. Serve gente competente, preparata e formata dentro le fila del partito, ha detto. Insomma fate gavetta, e poi della vostra presenza su uno scrano ne riparliamo. L'altra parte di colpa è dei moti rancorosi e delle faide interne al PD.
Quello che mi son chiesto ieri allora è stato: e prima delle parlamentarie? Chi c'era sui banchi?
Perché lo stato degenerativo del PD va avanti da anni. E chi si era illuso che con le primarie il peggio fosse passato, anzi cancellato, si era illuso. E i primi ad illudersi erano stati proprio loro. Quelli del PD.
Ora, possiamo accettare l'inesperienza dei giovani neoeletti. Così come possiamo accettare che Marini e Prodi (di fatto il padre del PD) non meritassero la pubblica umiliazione a camere riunite in diretta nazionale. Ma gettare sulle spalle dei giovani PD un 50% di colpe della disfatta della strategia e (di rimbalzo del partito) mi pare un tantinello eccessivo. Ripeto, e prima?
Ecco, nelle sua parole la ormai ex presidente del PD dovrebbe trovare forse trovare altri alibi parlando di un partito che non è riuscito, negli anni, ad amalgamare in maniera compatta le sue diverse componenti attorno ad una linea condivisa da esprimere con convinzione nel momento della verità, e che si porta dentro, nelle vene, i veleni di scontri precedenti anche alla sua formazione.
Di quel che sarà adesso del PD non lo so. E' già iniziata la campagna elettorale interna, in attesa del congresso. Staremo a vedere. Quello che so è che c'è bisogno di un partito che smetta di trovare alibi e dare colpe e cominci a macinare seriamente sulla strada di cui tanto parla ma che non è ancora riuscito ad imboccare.
Matteo Castellani Tarabini | contepaz83
And now it's the young people's fault if the PD has sunk
Yesterday in an interview at SkyTG24 Rosy Bindi, among other things, said that the fault, or part of it, in the drammatic and grotesque matters of the PD in the Quirinale affair is of the young people elected in the PD with the primaries wanted by Bersani.
They are accused of being unexperienced and unaware of their institutional role. She also said that many, victims of their inexperience have been guided by a cynical part of the old guard. So part of them would be among the traitors. Bindi did not want those parlamentaries, it is clear, and she remarks it as she stresses Bersani's responsabilities in wanting to go along with that line. There's a need for competent, prepared people who have been inside the party, she said. So work hard, and then we'll talk about your presence on a seat. The other part of guilt is of the resentful currents and the internal fights of the PD.
So what I asked myself was: and before the parlamentaries? Who was sitting at the desks? Because the degenerative state the PD is in has been going on for years. And those who had illuded themselves that with the primaries the worst was done, or erased, was only illuded. And the first to illude themselves were they, they people of the PD.
Now, we can accept the inexperience of the young neoelected. As we can accept that Marini and Prodi (the father of the PD) didn't deserve the public humiliation with reunited chambers in national live television. But giving the young people of the PD 50% of the guilt for the failure of the strategy seems a bit too much. I repeat, and before?
So in his words the ex president of the PD should find other alibies talking of a party that didn't manage, in years, to mix up in a compact manner the different components around a shared line to express with conviction at the moment of truth, and that carries along, in its veins, the poisons of fights that are even precedent to its formation.
What will be of the PD, I do not know. The internal elections campaign has already started, waiting for the congress. We'll see. What I do know is that we need a party that will stop looking for alibies and give guilts and starts on the path they talk about so much.
Matteo Castellani Tarabini | contepaz83
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#Napolitanobis: il brutto, il buono e il cattivo di una settimana folle
Cosa è avvenuto e cosa non è avvenuto sembra difficile da sintetizzare. A guardare le cose con un certo distacco, però, forse si può trarre qualche suggerimento.
E' facile cedere al cliché "la sinistra è autolesionista". Se per i tifosi giallorossi "La Roma non si discute, si ama", invece per chi è davvero di sinistra, direi che la lezione sana da far emergere sia "La Sinistra, se la ami, la metti in discussione". Se non altro per marcare le differenze con chi, sempre più numeroso, prende la politica come un campo da calcio.
Concetto che abbiamo rimproverato per anni a Berlusconi, e che invece, complice anche Grillo, attecchisce sempre di più.
In questi giorni abbiamo letto e sentito soffrire gente come Pippo Civati o Giuditta Pini, o altri giovani in gamba, proprio perché sono troppo intelligenti per non capire in quale cul-de-sac si sia infilato il PD, per colpa di dirigenti che non è vero che non sono in grado di "sentire" la piazza: la sentono fin troppo bene gridare che il loro tempo è passato e quindi cercano di far crollare il Tempio. Riuscendoci benissimo.
Ma a questo punto potrebbe essere un bene, per una sinistra che non ha più una casa, quindi può decidere di costruirne una nuova. Le braccia sane ci sono, un capomastro potrebbe esserci (Barca?), quindi perché non iniziare un progetto dove i dalemiani non sono un problema in quanto non chiamati proprio a partecipare?
Nel disastro delle centinaia di occasioni buttate via, questa potrebbe essere l'ultima da non farsi scappare. Anche perché, cosa c'è da perdere, per chi è davvero sano e di sinistra?
La politica è cambiata, ma non è cambiata nel senso che intende Grillo, perché tende a dividere il mondo in bianchi e neri, ed è la cosa più facile da fare per raccogliere consenso. Purtroppo quello che Grillo non capisce, è che esiste chi non si fiderà mai di lui, e non c'entra niente l'onestà o la necessità di privilegi: semplicemente, c'è gente che dice no alla vecchia politica del potere a tutti i costi, ma che non può digerire una politica che sembra nuova, ma quando vai a stringere fino all'osservazione microscopica, di nuovo non ha nulla. Questa settimana appena passata lo dimostra ampiamente. Facciamo caso a una cosa: Rodotà, scelta ottima e onorabile e davvero "di Sinistra", sarebbe stato eletto a furore di popolo.
Anche molte tra le "buone braccia" di cui parlavo poco sopra, l'hanno votato alle prime votazioni. Personalmente speravo che il PD tirasse fuori Rodotà almeno da due mesi, visto che il suo nome già girava da molto prima delle Quirinarie. Il problema è che la dinamica e l'ostinazione con cui è stato spinto il suo nome, anche quando oramai era evidente che non avrebbe mai avuto i numeri, è quanto di più vicino al Presidenzialismo ci sia mai stato in Italia, quel Presidenzialismo che vuole da sempre Berlusconi e al quale non si deve cedere.
Lo stesso Rodotà, per quanto "schifato" - giustamente - dai giochi di potere dei marci dirigenti PD, subito dopo l'elezione di Napolitano si è affrettato a dire che "quello che decide il Parlamento è democrazia". Parole sue, perché è troppo intelligente per farsi tirare per la giacca dal populismo. E' troppo di sinistra.
Quindi l'occasione migliore, ora, ce l'ha proprio chi sia davvero di Sinistra. Non parlo certo di confluire in SEL, perché anche SEL ha un difetto concettuale, che si chiama "Nome del leader nel simbolo". Con tutta la stima per Vendola, avere nomi nel simbolo vuol dire implicitamente inseguire pubblicitariamente il berlusconismo su un campo che non appartiene a chi sia di Sinistra, e se si vuole marcare un distacco con tutto quanto sia "il peggio" della politica del ventennio berlusconiano, bisogna costruire una casa nuova che si allontani con coraggio da concetti come "nome forte" e "uomo forte", in favore di concetti come "pensiero forte".
Non è la strada più facile: siamo in Italia.
Ma è certamente quella più di Sinistra.
Francesco Lanza | @bedrosian
The ugly, the good and the bad of a crazy week
What happened and what didn't happen seems difficult to synthetize. Looking at things with a certain detachment, though, maybe we can get a few suggestions.
It's easy to believe the "left wing is masochist" cliches. If for the red-yellow fans "Roma mustn't be discussed, it must be loved", for those who are truly from the left wing, I'd say the healthy lesson to emerge is "The Left, if you love it, then you discuss it". At least in order to mark the differences with who, more and more numerous, takes politics for a soccer field.
A concept we fought Berlusconi for years on, and that - with Grillo as an accomplice - is more and more present.
During these days we've read and heard people like Pippo Civati and Giuditta Pini suffer, and also other young good people, because they're too smart not to understand in what sort of cul-de-sac the PD has gotten into, because of leaders who supposedly cannot "hear" the people: they hear it very well, shouting that their time is done, and thus trying to make the Temple collapse. And succeeding in doing so.
Unfortunately or not, the center left wing isn't a monolitical creature, created into the likeliness of a leader, such as PD and M5S, so it's easier for it to break instead of changing (while the other leaderistical forces will simply dissolve when their leader is gone).
But at this point it could be good, for a left wing that doesn't have a home anymore, to decide to build a new one. The healthy arms are there, a mason could be there (Barca?), so why not start a project where the Dalemians aren't a problem because they aren't called to participate into the matter in the first place?
In the disaster of the hundreds of wasted occasions, this might be the last one not to miss. Because, what is there to lose, for those who is truly healthy and of the left wing?
Politics has changed, but it hasn't changed in the sense Grillo sees it, because it tends to divide the world in black and white, and that's the easiest thing to do when you try to raise consent. Unfortunately what Grillo doesn't understand is that there are people who will never trust him, and that has nothing to do with honesty, or privileges: simply, there are people who say no to the old politics of power at all costs, but who can't digest a politics that seems new, but when you look at it from a short distance, it has nothing new to it. This past week proves that.
Let's look at another aspect: Rodotà, great and honorable choice, truly a left wing man, would have been elected by the people. Many among the good arms I talked about earlier have voted for him during the first rounds. Personally I hoped the PD would candidate Rodotà at least two months ago, since his name was around well before the Quirinarie. The problem is that the dynamic and the stubborness with which his name was proposed, even when it was obvious he would never have the necessary numbers, is what we have nearer to Presidentialism in Italy, that Presidentialism that Berlusconi has always wanted and to which we must not succumb.
The same Rodotà, although "despised" by the power game of the rotten PD leaders, right after the election of Napolitano has hastened to say that "whatever the Parliament decides is democracy". His words, because he is way too smart to get washed down by populism. He's too left wing of a man for that.
Francesco Lanza | @bedrosian
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domenica 21 aprile 2013
#Storiedeldisonore: #mafia e il maxiprocesso a Cosa Nostra
«La notizia che la mafia progettava qualcosa contro di noi e i nostri familiari giunse dalla squadra speciale di agenti carcerari che raccoglieva voci e umori delle celle. Fummo presi, io, Giovanni, sua moglie Francesca, mia moglie e i miei tre figli e in 48 ore catapultati all'Asinara: in aereo fino ad Alghero, poi a Porto Torres via terra ed infine nell'isola con la motovedetta degli agenti».
Così raccontava Paolo Borsellino i momenti immediatamente precedenti al trasferimento sull’isola dove i due magistrati avrebbero poi lavorato per scrivere l’istruttoria del primo maxi-processo a Cosa Nostra.
La mafia aveva appena ucciso il commissario Beppe Montana, dirigente della sezione catturandi della squadra mobile di Palermo,e il dirigente della squadra mobile, Ninni Cassarà. Un’altra estate di sangue per il capoluogo siciliano quella del 1985. Ed è proprio in quell’estate che Falcone e Borsellino gettano le fondamenta per il procedimento che portò alla sbarra, tutte insieme per la prima volta nella storia, più di 400 persone organiche alle “famiglie” della mafia siciliana. Così come i due giudici anche gli altri componenti del pool hanno assaggiato la vita dei reclusi.
«Siamo stati buttati all'Asinara - ricordava ancora Borsellino in una intervista - a lavorare per un mese e alla fine ci hanno anche presentato il conto: ho conservato la ricevuta. Pagammo - noi e i familiari - diecimila lire al giorno per la foresteria e in più i pasti. I magistrati fuori sede hanno diritto alla missione. Ma quella era una missione particolare. Avremmo dovuto chiedere il rimborso. Non lo facemmo, avevamo cose più importanti da fare». Avevano altro da fare, e il solo Borsellino aveva 800 fascicoli da amministrare.
Gli imputati del “maxi” in tutto sono 474. 119 di loro però, che costituiscono il cuore pulsante e il futuro di Cosa Nostra non sono assicurati alla giustizia: quasi tutti i ‘vincenti’ dell’organizzazione compaiono tra i contumaci. Tra di loro Totò Riina, Bernardo Provenzano, e i Madonia, che hanno potuto sfruttare anche i buoni uffici dell’eurodeputato della DC Salvo Lima.
Tra gli imputati eccellenti figurano invece Luciano Leggio, Pippo Calò e Michele Greco. Il 10 febbraio del 1986 inizia il processo che attira giornali e tv di tutto il mondo dentro l’aula Bunker del carcere dell’Ucciardone a Palermo. Sfilerà in aula anche quel Tommaso Buscetta che proprio a Falcone iniziò a svelare i meccanismi di Cosa Nostra.
Nell’aula dell’Ucciardone va in scena un mondo allora ancora semisconosciuto e non del tutto compreso nemmeno agli addetti ai lavori. Un mondo che si mostra anche all’interno delle gabbie dove stazionano i detenuti, che fra lo scherno e la sacralità dei riti mafiosi mostrano la loro sicurezza dell’impunità come era stato fino a quel momento. Fuori dall'aula però le famiglie non si fermano e sulla scena impazzano sempre i Riina, i Provenzano, i Madonia il tavolino costituito dal 'ministro dei lavori pubblici' di Cosa Nostra Angelo Siino, che farà poi capolino durante Mani Pulite.
Qualcosa però era cambiato con i processo dell'Ucciardone, e il lavoro del pool ne era la conferma: il maxi processo, che pure tanti puristi del diritto osteggiarono, si chiude con 360 condanne in primo grado. Ma quel gigante giudiziario non ha vita facile, infatti al termine dei tre gradi di giudizio, nel 1989, ultimo dei quali sotto la mannaia del giudice di Cassazione Corrado Carnevale detto “l’ammazzasentenze”, solo sessanta imputati restavano in carcere per le accuse del maxi-processo.
Serve un ricorso della procura generale per confermare le condanne di primo e secondo grado del maxi-processo e ribaltare il verdetto di Carnevale che poi verrà inquisito e assolto per le presunte collusioni con ambienti mafiosi. Avrebbe dovuto condurre il ricorso presso la cassazione l’alto magistrato calabrese Antonino Scopelliti, ma il 9 agosto del 1991 a campo calabro viene ucciso dagli uomini della ‘ndrangheta. Un omicidio rimasto senza colpevoli, ma che segnerebbe una sorta di patto tra mafia siciliana e ‘ndrangheta per l’eliminazione del giudice. Un successo a metà quello del maxi-processo, che fece però scattare nuovi metodi d'indagine e una nuova consapevolezza del fenomeno mafioso anche in seno all'opinione pubblica.
Quando la Cassazione pronuncia il verdetto finale sul maxi-processo è il 30 gennaio 1992. L’anno che cambiò per sempre la storia d’Italia e degli italiani [to be continued...]
Luca Rinaldi | @lucarinaldi
Mafia and the maxi trial to Cosa Nostra
"The news that the mafia was plotting something against us and our families came from the special team of carcerary agents who were collecting rumors from the cells. We were taken, me, Giovanni, his wife Francesca, my wife and my three kids and in 48 hours taken to Asinara: with an airplain to Alghero, then Porto Torres by land and finally to the island with the agent's boat". This is what Paolo Borsellino said in the moments right after being transferred on the island where the two judges would work at the first maxi trial against Cosa Nostra.
The mafia had just killed the commissary Beppe Montana, director of the catturandi section of the Palermo team, and the director of the mobile team Ninni Cassarà. Another summer of blood for the Sicilian city, the one of 1985. And it was during that same summer that Falcone and Borsellino set the foundation for the trial that brought into court, all together for the first time in history, more than 400 organic people to the "families" of the Sicilian mafia. As the two judges, other components of the pool have tasted the life as locked down.
"We were thrown on the Asinara - Borsellino remembered in an interview - to work for a month and in the end they gave us the bill: I still have the receipt. We paid - us and our families - 10.000 lire a day for lodging and meals. The judges who aren't on site have the right to the mission. But that was a particular mission. We should have asked for a compensation. We didn't, we had much more important things to do". They had other things to do, and Borsellino alone had 800 practices to administrate.
The defendants of the maxitrial were 474. 119 of them, however, who constitute the beating heart and the future of Cosa Nostra, couldn't be aprehended: almost all the "winners" of the organization appear among the contumacious. Among them Totò Riina, Bernardo Provenzano and the Madonia, who were able to exploit the good services of the DC eurodeputee Salvo Lima.
Among the famous defendants there were Luciano Leggio, Pippo Calò and Michele Greco. On the 10th of February 1986 the trial begins: it attracted newspapers and televisions from all over the world in the Bunker court of the Ucciardone prison in Palermo. In that same court Tommaso Buscetta will appear, the one who started to unveil Cosa Nostra's mechanisms to Falcone.
In the Ucciardone court a show starts that was still unknown and not understood even by those who worked in the area. A world that is shown even inside the cages where the defendants are, between mockery and the sacrality of mafia rituals show the safety of the impunity as it had been until that moment. Outside the courtroom the families don't stop and on the scene the Riina, the Provenzano, the Madonia hold the stage, the set organized by the "minister of public works" of Cosa Nostra, Angelo Siina, who will emerge during Clean Hands.
Something however was changed with the Ucciardone trial, and the work of the pool was a confirmation of that: the maxi trial, that many purists of the law were against of, was closed with 360 first degree verdicts. But that judiciary giant doesn't have an eaasy life, so at the end of the 3 degrees of trial, in 1989, the last of which under the cleaver of Cassazione judge Corrado Carnevale (nicknamed the "verdict killer"), only 60 defendants remained in jail for the accusations of the maxi trial.
There was a recourse of the general attorney to confirm the first and second degree verdicts of the maxi trial and change Carnevale's verdict, who will then be processed and absolved for supposed collusions with the mafia environments. The recourse eshould have been conducted by the high judge Antonino Scopelliti, but on the 9th of August 1991 at Campo Calabro he was killed by the 'ndrangheta men. A homicide remained without responsibles, but which signed a sort of pact between the Sicilian and Calabrian mafias for the elimination of the judge. A half success, the one of the maxi trial, which invented new ways of making inquiries and a new awareness of the mafia phenomenon in the public opinion.
When the Cassazione prononunces the final verdict on the maxi trial, it is the 30th of January 1992. The year that changed forever the history of Italy and of Italian people.
Luca Rinaldi | @lucarinaldi
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