▼ Il tweet del giorno

Visualizzazione post con etichetta giovanni falcone. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta giovanni falcone. Mostra tutti i post

sabato 27 aprile 2013

#Storiedeldisonore: corvi e veleni attorno a #Falcone



Il 30 gennaio del 1992 la Cassazione ribalta la sentenza d’appello del maxi-processo a Cosa Nostra istruito da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Tutte confermate le condanne all’ergastolo del primo grado di giudizio. 

La ricostruzione del pool di Palermo, integrata dal “teorema Buscetta”, per la Suprema Corte è corretta. “Sicuramente un punto di partenza, e non uno di arrivo”, commentò Giovanni Falcone nel corso di una intervista alla RAI.

Eppure il pool antimafia di Palermo, con il suo metodo di indagine era già un ricordo lontano dal 1988. In quell’anno si sceglie il nuovo capo delle procura di Palermo (allora ufficio istruzione). A lasciare il posto è Antonino Caponnetto, il bravo magistrato toscano cui si deve l’idea e la determinazione della formazione della squadra di magistrati che portò alle più importanti indagini sulla mafia negli anni ’80.

L’aria nelle stanze del Palazzo di Giustizia di Palermo in quei mesi si fa sempre più irrespirabile, e a concorrere alla carica di procuratore capo ci sono Giovanni Falcone, e Antonino Meli, un magistrato che fino a quel momento non ha mai svolto indagini su fatti di mafia, ma ha dalla sua una maggiore anzianità di servizio rispetto allo stesso Falcone.

La scelta dei colleghi di Falcone finì infatti, tra mille polemiche, su Antonino Meli. 15 voti contro 12.

«Quando Giovanni Falcone solo, per continuare il suo lavoro, propose la sua aspirazione a succedere ad Antonino Caponnetto, il CSM, con motivazioni risibili gli preferì il consigliere Antonino Meli. Falcone concorse, qualche Giuda si impegnò subito a prenderlo in giro, e il giorno del mio compleanno il CSM ci fece questo regalo. Gli preferì Antonino Meli».

Questo fu il commento di Paolo Borsellino il 25 giugno del 1992, a un mese dalla strage di Capaci in cui perse la vita Giovanni Falcone. A favore di Falcone, per dovere di storia e di cronaca votarono i consiglieri Abbate, Brutti, Calogero, Caselli, Contri, D’Ambrosio, Gomez d'Ayala, Racheli, Smuraglia e Ziccone. Contro Falcone Agnoli, Borrè, Buonajuto, Cariti, Di Persia, Geraci, Lapenta, Letizia, Maddalena, Marconi, Morozzo Della Rocca, Paciotti, Suraci e Tatozzi. Si astennero Lombardi, Mirabelli, Papa, Permacchini e Sgroi.

Si apre una stagione di corvi e veleni con una storia che sembra ancora tutta da scrivere. All’interno del Palazzo di Giustizia di Palermo iniziano a girare missive che accusano Falcone di pilotare i pentiti, così come altri investigatori dell’antimafia. Per quelle missive viene condannato per diffamazione in primo grado il magistrato Alberto Di Pisa, poi prosciolto per non aver commesso il fatto, a causa dell'inutilizzabilità del materiale probatorio raccolto. In questo clima matura il fallito attentato all’Addaura, dove Giovanni Falcone si erar recato con i magistrati svizzeri Carla del Ponte e Claudio Lehmann per disporre alcune rogatorie su inchieste riguardanti il riciclaggio nello stato elvetico.

L’attentato fallì, e Falcone parlò chiaramente di “menti raffinatissime” dietro a quello scenario che si era scatenato attorno alla sua figura e alla sua indagine. Intanto nel 1989 anche quella politica che oggi si fa paladina dell’antimafia inizia ad attaccare Falcone. Tutto nasce in particolare dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Giuseppe Pellegriti, il quale svela al pm Libero Mancuso alcuni retroscena riguardanti il ruolo di Salvo Lima nell’ambito degli omicidi di Piersanti Mattarella e Pio La Torre.

Mancuso avvisa Falcone che interroga Pellegriti e cerca riscontri. Risultato: Giovanni Falcone incrimina Pellegriti insieme all’estremista di destra Angelo Izzo (uno dei condannati per la strage del Circeo). Il ‘nero’ Izzo avrebbe infatti, rinchiuso con Pellegriti nel carcere di Alessandria avrebbe infatti pilotato le dichiarazioni di Pellegriti. Il giudice li incriminerà entrambi per calunnia aggravata. Da lì in poi personaggi come Leoluca Orlando arrivarono ad accusare Falcone di tenere i dossier “chiusi nei cassetti”, e sostanzialmente di non voler far luce sugli omicidi politici di Cosa Nostra. Una polemica che continuerà fino all’uccisione di Giovanni Falcone... [to be continued]

Luca Rinaldi | @lucarinaldi



Stories of dishonor: crows and poisons around Giovanni Falcone

On the 30th of January, 1992, the Cassazione changes the appeal verdict of the maxitrial to Cosa Nostra, instructed by Giovanni Falcone and Paolo Borsellino. All confirmed the life in prison verdicts of the first degree of judgement. The reconstruction of the Palermo pool, integrated by the "Buscetta theorem", is correct according to the Supreme Court. "Surely a starting point, not a goal.", commented Giovanni Falcone during an interview with RAI.

And yet the Palermo antimafia pool, with its inquiry methods was already a distant memory since 1988. In that year the new head of the Palermo desk is chose. Leaving his place is Antonino Caponnetto, the great Tuscan judge who had the idea and the determination to form a team of judges that lead to the most important inquiries about the mafia in the 80s.

The air in the rooms of the Palace of Justice in Palermo during those months becomes heavier and heavier, and running for the place are Giovanni Falcone and Antonino Meli, a judge who until that moment had never done any inquiries on mafia matters, but has more years in service than Falcone himself.

The choice of Falcone's colleagues ended, amongst a thousand comments, on Antonino Meli. 15 votes against 12.

"When Giovanni Falcone alone, in order to continue his work, proposed his aspiration to take Antonino Caponnetto's place, the CSM with ridiculous motivations preferred the counselor Antonino Meli. Falcone tried, some Judas immediately ridiculed him, and on my birthday the CSM made us this gift. They preferred Antonino Meli."

This was Paolo Borsellino's comment on the 25th of June 1992, one month away from the Capaci massacre in which Giovanni Falcone lost his life. In favor of Falcone, for the good of history, the votes of counselors Abbate, Brutti, Calogero, Caselli, Contri, D’Ambrosio, Gomez d'Ayala, Racheli, Smuraglia and Ziccone. Against him, Agnoli, Borrè, Buonajuto, Cariti, Di Persia, Geraci, Lapenta, Letizia, Maddalena, Marconi, Morozzo Della Rocca, Paciotti, Suraci and Tatozzi. Lombardi, Mirabelli, Papa, Permacchini and Sgroi did not vote.

This opens a season of crows and poisons with a story that still seems all to be written. Inside the Palace of Justice of Palermo, letters start to circulate, incriminating Falcone of directing the collaborators of justice, as others investigators of the antimafia. For those letters the judge Alberto Di Pisa is condemned for slaunder, and then released for not committing the fact, because of the unusability of the evidence. In this climate the failed attack at the Addaura matures, where Giovanni Falcone had gone together with the Swiss judges Carla del Ponte and Claudio Lehmann in order to prepare a few letters of request on inquiries regarding the money laundry in Switzerland.

The attack failed, and Falcone clearly talked about "refined minds" behind the scenario that had unleashed itself around his figure and his inquiry. In the meanwhile, in 1989 the same politics that today proclaims itself to be a champion of antimafia starts to attack Falcone. All is born in particular from the statements of the collaborator of justice Giuseppe Pellegriti, who reveals to Libero Mancuso a few details regarding Salvo Lima's role in the Piersanti Mattarella and Pio La Torre homicides.

Mancuso tells Falcone he's interrogating Pellegriti and searches for confirmation. Result:  Giovanni Falcone incriminates Pellegriti together with the right wing extremit Angelo Izzo (one of the condemned for the Circeo massacre). The "black" Izzo, incarcerated together with Pellegriti in the Alessandria prison, would have piloted Pellegriti's statements. The judge condemnes both of them for slander. From that moment on, people like Leoluca Orlando arrived to accuse Falcone of keeping the dossiers "closed in his drawers", and substantially being unwilling to make light on the political homicides of Cosa Nostra. A discussion that will continue until Giovanni Falcone's murder.

Luca Rinaldi | @lucarinaldi

domenica 21 aprile 2013

#Storiedeldisonore: #mafia e il maxiprocesso a Cosa Nostra



«La notizia che la mafia progettava qualcosa contro di noi e i nostri familiari giunse dalla squadra speciale di agenti carcerari che raccoglieva voci e umori delle celle. Fummo presi, io, Giovanni, sua moglie Francesca, mia moglie e i miei tre figli e in 48 ore catapultati all'Asinara: in aereo fino ad Alghero, poi a Porto Torres via terra ed infine nell'isola con la motovedetta degli agenti». 

Così raccontava Paolo Borsellino i momenti immediatamente precedenti al trasferimento sull’isola dove i due magistrati avrebbero poi lavorato per scrivere l’istruttoria del primo maxi-processo a Cosa Nostra.

La mafia aveva appena ucciso il commissario Beppe Montana, dirigente della sezione catturandi della squadra mobile di Palermo,e il dirigente della squadra mobile, Ninni Cassarà. Un’altra estate di sangue per il capoluogo siciliano quella del 1985. Ed è proprio in quell’estate che Falcone e Borsellino gettano le fondamenta per il procedimento che portò alla sbarra, tutte insieme per la prima volta nella storia, più di 400 persone organiche alle “famiglie” della mafia siciliana. Così come i due giudici anche gli altri componenti del pool hanno assaggiato la vita dei reclusi.

«Siamo stati buttati all'Asinara - ricordava ancora Borsellino in una intervista - a lavorare per un mese e alla fine ci hanno anche presentato il conto: ho conservato la ricevuta. Pagammo - noi e i familiari - diecimila lire al giorno per la foresteria e in più i pasti. I magistrati fuori sede hanno diritto alla missione. Ma quella era una missione particolare. Avremmo dovuto chiedere il rimborso. Non lo facemmo, avevamo cose più importanti da fare». Avevano altro da fare, e il solo Borsellino aveva 800 fascicoli da amministrare.

Gli imputati del “maxi” in tutto sono 474. 119 di loro però, che costituiscono il cuore pulsante e il futuro di Cosa Nostra non sono assicurati alla giustizia: quasi tutti i ‘vincenti’ dell’organizzazione compaiono tra i contumaci. Tra di loro Totò Riina, Bernardo Provenzano, e i Madonia, che hanno potuto sfruttare anche i buoni uffici dell’eurodeputato della DC Salvo Lima.

Tra gli imputati eccellenti figurano invece Luciano Leggio, Pippo Calò e Michele Greco. Il 10 febbraio del 1986 inizia il processo che attira giornali e tv di tutto il mondo dentro l’aula Bunker del carcere dell’Ucciardone a Palermo. Sfilerà in aula anche quel Tommaso Buscetta che proprio a Falcone iniziò a svelare i meccanismi di Cosa Nostra.

Nell’aula dell’Ucciardone va in scena un mondo allora ancora semisconosciuto e non del tutto compreso nemmeno agli addetti ai lavori. Un mondo che si mostra anche all’interno delle gabbie dove stazionano i detenuti, che fra lo scherno e la sacralità dei riti mafiosi mostrano la loro sicurezza dell’impunità come era stato fino a quel momento. Fuori dall'aula però le famiglie non si fermano e sulla scena impazzano sempre i Riina, i Provenzano, i Madonia il tavolino costituito dal 'ministro dei lavori pubblici' di Cosa Nostra Angelo Siino, che farà poi capolino durante Mani Pulite.

Qualcosa però era cambiato con i processo dell'Ucciardone, e il lavoro del pool ne era la conferma: il maxi processo, che pure tanti puristi del diritto osteggiarono, si chiude con 360 condanne in primo grado. Ma quel gigante giudiziario non ha vita facile, infatti al termine dei tre gradi di giudizio, nel 1989, ultimo dei quali sotto la mannaia del giudice di Cassazione Corrado Carnevale detto “l’ammazzasentenze”, solo sessanta imputati restavano in carcere per le accuse del maxi-processo.

Serve un ricorso della procura generale per confermare le condanne di primo e secondo grado del maxi-processo e ribaltare il verdetto di Carnevale che poi verrà inquisito e assolto per le presunte collusioni con ambienti mafiosi. Avrebbe dovuto condurre il ricorso presso la cassazione l’alto magistrato calabrese Antonino Scopelliti, ma il 9 agosto del 1991 a campo calabro viene ucciso dagli uomini della ‘ndrangheta. Un omicidio rimasto senza colpevoli, ma che segnerebbe una sorta di patto tra mafia siciliana e ‘ndrangheta per l’eliminazione del giudice. Un successo a metà quello del maxi-processo, che fece però scattare nuovi metodi d'indagine e una nuova consapevolezza del fenomeno mafioso anche in seno all'opinione pubblica.

Quando la Cassazione pronuncia il verdetto finale sul maxi-processo è il 30 gennaio 1992. L’anno che cambiò per sempre la storia d’Italia e degli italiani [to be continued...]

Luca Rinaldi | @lucarinaldi


Mafia and the maxi trial to Cosa Nostra

"The news that the mafia was plotting something against us and our families came from the special team of carcerary agents who were collecting rumors from the cells. We were taken, me, Giovanni, his wife Francesca, my wife and my three kids and in 48 hours taken to Asinara: with an airplain to Alghero, then Porto Torres by land and finally to the island with the agent's boat". This is what Paolo Borsellino said in the moments right after being transferred on the island where the two judges would work at the first maxi trial against Cosa Nostra.

The mafia had just killed the commissary Beppe Montana, director of the catturandi section of the Palermo team, and the director of the mobile team Ninni Cassarà. Another summer of blood for the Sicilian city, the one of 1985. And it was during that same summer that Falcone and Borsellino set the foundation for the trial that brought into court, all together for the first time in history, more than 400 organic people to the "families" of the Sicilian mafia. As the two judges, other components of the pool have tasted the life as locked down.

"We were thrown on the Asinara - Borsellino remembered in an interview - to work for a month and in the end they gave us the bill: I still have the receipt. We paid - us and our families - 10.000 lire a day for lodging and meals. The judges who aren't on site have the right to the mission. But that was a particular mission. We should have asked for a compensation. We didn't, we had much more important things to do". They had other things to do, and Borsellino alone had 800 practices to administrate.

The defendants of the maxitrial were 474. 119 of them, however, who constitute the beating heart and the future of Cosa Nostra, couldn't be aprehended: almost all the "winners" of the organization appear among the contumacious. Among them Totò Riina, Bernardo Provenzano and the Madonia, who were able to exploit the good services of the DC eurodeputee Salvo Lima.

Among the famous defendants there were Luciano Leggio, Pippo Calò and Michele Greco. On the 10th of February 1986 the trial begins: it attracted newspapers and televisions from all over the world in the Bunker court of the Ucciardone prison in Palermo. In that same court Tommaso Buscetta will appear, the one who started to unveil Cosa Nostra's mechanisms to Falcone.

In the Ucciardone court a show starts that was still unknown and not understood even by those who worked in the area. A world that is shown even inside the cages where the defendants are, between mockery and the sacrality of mafia rituals show the safety of the impunity as it had been until that moment. Outside the courtroom the families don't stop and on the scene the Riina, the Provenzano, the Madonia hold the stage, the set organized by the "minister of public works" of Cosa Nostra, Angelo Siina, who will emerge during Clean Hands.

Something however was changed with the Ucciardone trial, and the work of the pool was a confirmation of that: the maxi trial, that many purists of the law were against of, was closed with 360 first degree verdicts. But that judiciary giant doesn't have an eaasy life, so at the end of the 3 degrees of trial, in 1989, the last of which under the cleaver of Cassazione judge Corrado Carnevale (nicknamed the "verdict killer"), only 60 defendants remained in jail for the accusations of the maxi trial.

There was a recourse of the general attorney to confirm the first and second degree verdicts of the maxi trial and change Carnevale's verdict, who will then be processed and absolved for supposed collusions with the mafia environments. The recourse eshould have been conducted by the high judge Antonino Scopelliti, but on the 9th of August 1991 at Campo Calabro he was killed by the 'ndrangheta men. A homicide remained without responsibles, but which signed a sort of pact between the Sicilian and Calabrian mafias for the elimination of the judge. A half success, the one of the maxi trial, which invented new ways of making inquiries and a new awareness of the mafia phenomenon in the public opinion.

When the Cassazione prononunces the final verdict on the maxi trial, it is the 30th of January 1992. The year that changed forever the history of Italy and of Italian people.

Luca Rinaldi | @lucarinaldi

giovedì 25 ottobre 2012

#Mafia: da Cosa Nostra di #Falcone alla 'ndrangheta in #Lombardia



Quando mi sono approcciato per la prima volta a fatti e storie di mafia, l’ho fatto raccogliendo la testimonianza di un imprenditore che, nei primi anni ’90, aveva denunciato i suoi aguzzini in un paese di provincia della Lombardia. Doveva essere il 2008, ma ero ben cosciente di non stare a scoperchiare niente di nuovo.

Erano quelli momenti dove la mafia al nord non era tema di dibattito e schermaglie, anzi, alcuni colleghi che se ne occupavano da tempo spesso venivano indicati come persone che “vedevano mafia ovunque”. Due anni dopo quel 2008, nel luglio del 2010, tra Reggio Calabria e Milano partono gli arresti dell’operazione “Crimine-Infinito”. Sono 300 persone a finire nell’ordinanza delle procure di Reggio e Milano, di cui più della metà verranno arrestate in Lombardia.

Da lì, il tema diventa di attualità e tutti, eccetto qualcuno anche a fini elettorali, sono pronti a denunciare la mafia al nord. Si scopre una mafia che non è solo coppole e lupare, ma una mafia che si mette il vestito della domenica e va a fare affari, sui cantieri, a Piazza Affari e anche alla City di Londra.

Nemmeno questa potrebbe essere considerata una novità, dal momento che Giovanni Falcone già parlava di “mafia che entra in borsa”, a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 e che, tornando ancora più indietro nel tempo troviamo le agendine di Luciano Leggio, la primula rossa di Corleone. Arrestato a Milano il 16 maggio del 1974 nelle sue agendine viene ritrovato il numero privato di Ugo de Luca, direttore generale del Banco di Milano. Scrive Alfio Caruso nella bella prefazione al mio ultimo eBook “Virus mafia; il contagio al nord” (Linkiesta) “De Luca era un siciliano con un piede nella curia e un altro nella massoneria. Aveva conosciuto Sindona e l’aveva seguito alla Banca Unione prima di mettersi in proprio. A De Luca furono trovati diversi libretti al portatore con decine di miliardi, ma lui mai svelò i titolari. Fu l’ennesima occasione persa, che poi costringerà a ricominciare daccapo”.

Proprio da quel “ricominciare daccapo” e dalle esperienze dei due eBook che ho pubblicato quest’anno sul tema mi piacerebbe concentrare questo intervento. Con una premessa, che forse farà storcere il naso a qualcuno, ovvero la definizione di “giornalismo antimafia”. Una definizione che a parer mio non ha ragione di esistere, perché se una cosa è giornalismo, è automatico che sia “antimafia”, se promuove “interessi altri”, non può che essere propaganda, peggio ancora se promuove interessi di lobbies mafiose.

Partiti da questo assunto, il lavoro che ho portato avanti in quest’anno è stato interessante sia come esperienza professionale, sia come esperienza personale. Un lavoro prima di tutto improntato al rigore nella ricostruzione di atti e fatti, e proseguito poi cercando delle risposte, delle soluzioni e delle proposte.

Dalla ricostruzione di atti e fatti, meglio di fattacci, è nata l’inchiesta sulla mafia in Lombardia, che Linkiesta ha pubblicato in sei puntate e finita nell’eBook “Virus mafia; il contagio al nord”, con altre puntate in altre regioni.

Dall’esigenza di avere risposte e soprattutto proposte in un periodo in cui tutto si distrugge, ma nulla si ricostruisce è nato invece un altro eBook-interviste “Antimafia senza divisa”, uscito nel dicembre 2011 per la casa editrice digitale Blonk.

Aver fatto un lavoro di analisi (con tanto di nomi, cognomi e circostanze spesso imbarazzanti per i coinvolti) e un tentativo di proposta, senza retoriche, da parte di persone che in qualche modo sono venuti a contatto con le mafie, mi ha permesso di avere una visione d’insieme che ancora una volta mi ricorda le parole di Giovanni Falcone. Parole con cui sono d’accordo a metà, come ho avuto modo di dire più volte. Una frase che tutti ricordano nella prima parte, perchè la più bella, la più utopica forse, ma dimenticano sempre la seconda, quella che impegna maggiormente.

«La mafia non è affatto invincibile. È un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio, e avrà anche una fine. Piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni».

Ecco, io non credo che un fenomeno come la mafia abbia fine prima che l’essere umano sparisca dalla faccia della terra, ma è indiscutibile che qualcuno non si sia ancora accorto che questa mafia sia un “fenomeno terribilmente grave”. Forse questa sensibilità è più sviluppata tra quegli “inermi cittadini” che dalla loro hanno l’arma della denuncia e poco altro. Da loro, quindi da noi, non ci vogliono atti di eroismo, ma solleciti a chi nega il problema, lo minimizza e alle istituzioni, che troppe volte, soprattutto quelle più legate alla politica hanno preferito girarsi dall’altra parte, ignorare, o, al peggio andare a cercare l’appoggio della mafia senza bisogno che questa si muovesse nei loro confronti. A sud come a nord. Una mafia che spesso viene riconosciuta dalla politica, anzi, dalla malapolitica (da quella del paesino di 100 abitanti fino a Roma) come una istituzione a cui rivolgersi per sistemare voti e problemi. Senza contare gli atti e fatti della Pubblica Amministrazione troppo spesso inquinati da chi nelle istituzioni fa interessi delle mafie. Dai sindaci ai funzionari negli uffici tecnici, lontani dai riflettori, ma cruciali per le buone o cattive pratiche delle istituzioni locali.

Luca Rinaldi | @lucarinaldi


From Falcone's Cosa Nostra to the 'ndrangheta in Lombardy

When I first approached facts and stories of mafia, I did it by listening to the words of an entrepreneur who, in the early 90s, had pressed charges against those who terrorized him in a small town in Lombardia. It was probably 2008, but I was aware that I wasn't unveiling anything new.

Those were moments when the mafia in the north wasn't a topic of debate, all the contrary, some colleagues who worked in this field for some time were pointed out as people who "saw mafia everywhere". Two years after that 2008, in July 2010, between Reggio Calabria and Milano the arrests of the operation "Infinite-Crime" begin. 300 people end up in the warrants, and more than half are arrested in Lombardy.

Starting there, the topic becomes common knowledge and everyone, except some for elections reasons, are ready to speak about the mafia in the north. So we discovered a mafia that isn't just guns and rifles, it's a mafia that wears the Sunday clothes and does business, in construction sites, at Piazza Affari and the City of London.

This shouldn't be considered news either, considered that Giovanni Flacone already talked about mafia that goes into the stock markets, between the 80s and the 90s, and that going back in time we find Luciano Leggio's agendas, Corleone's red primula.

Arrested in Milan on May the 16th 1974, in his notes the police found the private number of Ugo de Luca, General Director of the Bank of Milan. Alfio Caruso writes in the nice introduction to my most recent eBook "Mafia Virus; the contamination in the north" (Linkiesta): "De Luca was a Sicilian with one foot in the Church and the other in the Masonry. He had known Sindona and had followed him at the Union Bank before starting business on his own. De Luca was found with several checks worth dozens of billions, but he never revealed their owners. It was yet another lost chance, that will then constrain to start all over again.

Exactly from that "start all over again" and from the experience of the two eBooks I published this year on the topic I would like to concentrate this piece. With an introduction, that may make someone unhappy, which is the definition of anti mafia journalism. A definition that I believe has no reason to exist, because if something is journalism, then it is already anti mafia, if it promotes third party interests then it is nothing else but propaganda, even worse if it promotes the interests of the mafia lobbies.

Starting with this consideration, the work I've been doing this year has been interesting both as a professional experience and a personal experience. A work that was first of all dedicated to the rigor and precision in reconstructing acts and facts, and that continued afterwards searching for answers, solutions and proposals.

Luca Rinaldi | @lucarinaldi 

▼ Leggi i migliori della settimana

2