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martedì 19 marzo 2013

La #BuonaItalia (forse @Bill_Emmott aveva ragione)



Il giorno dopo le elezioni mi dissi molto delusa riguardo il risultato del voto. Credevo che davanti a me si prospettasse uno scenario politico non in grado di difendere i diritti che questo paese da tanto richiedeva e di cui aveva estremamente bisogno.

Eppure pochi giorni fa, con l’elezione di due persone di altissimo profilo morale e civico quali Laura Boldrini e Piero Grasso, si è acceso in me un qualcosa: e se Bill Emmott avesse ragione? Se il momento di porre la parola “the End” non fosse ancora arrivato e la “buona Italia” avesse ancora la possibilità di riscattarsi?

Durante il weekend, riflettendo sull’accaduto, mi sono venute in mente tante storie.

C’è la storia di Massimo, imprenditore vicentino impegnato nel settore tessile, costretto suo malgrado a licenziare 10 dei suoi dipendenti per non far fallire la sua piccola azienda attanagliata dalla crisi. Sul luogo di lavoro Massimo considerava tutti come fratelli, avendo lavorato al loro fianco per ben 12 anni. Oggi, solo il sorriso della figlia Marianna, 7 anni, riesce a togliergli dalla testa la disperazione comparsa sul viso dei suoi dipendenti quando diede loro la notizia del licenziamento.

Penso a Karim, nato a Roma nel 1995 e figlio dell’Italia multietnica di nuova generazione, essendo nato da una coppia di egiziani residenti in Italia da tantissimi anni. Dopo essersi diplomato al liceo Righi, Marco ha fatto richiesta per avere la cittadinanza italiana. Il mese scorso ha compiuto 18 anni, ma ancora il suo paese non lo considera a tutti gli effetti un cittadino italiano. E’ un grande fan di Luigi Mastrangelo, vorrebbe giocare nella nazionale di pallavolo e regalare al suo paese una medaglia, ma il non possedere la cittadinanza italiana rimane un ostacolo per la realizzazione del suo sogno.

Il mio pensiero va poi a Silvia, una ragazza di 25 anni laureata in Fisica con 110 e lode che si è vista costretta a lasciare la Sardegna, una delle regioni col più alto tasso di disoccupazione del paese. Oggi lavora in Svizzera e mentre spera di poter mettere le proprie conoscenze a disposizione della propria isola, osserva sognante la bandiera dei quattro mori appesa sopra la scrivania della sua camera a Ginevra.

Mi viene in mente Giovanni, operaio 62enne di Modena. Giovanni ha due figlie, entrambe vanno all’università, una di loro vorrebbe partire all’estero per frequentare un Master alla LSE. Oggi Giovanni non sa come spiegare che non riuscirà più a pagar loro le rate per i loro studi poiché il Governo, dopo 36 anni di contributi pagati e 4 di mobilità, ha deciso di etichettarlo come esodato, non dandogli il diritto di ricevere una pensione dopo aver svolto per una vita il suo lavoro.

Penso a Claudia, studentessa in Ingegneria nell’Università di Palermo. I successi nello studio mai potranno riempire quel vuoto creatosi tre anni fa, quando una serie di colpi d’ arma da fuoco raggiunsero “per errore” suo padre, causandone la morte alla sola età di 53 anni. Da allora, è entrata a far parte dell’associazione Libera e si impegna per dare, nel suo piccolo, un futuro alla sua regione.

Annamaria, invece, è un’ insegnante di italiano, storia e geografia in una scuola media lombarda. Ha tre classi, per un totale di 76 alunni. Ogni giorno si reca a lavoro felice di fare quello che ha sempre sognato fin da piccola: formare le generazioni del futuro. Neppure l’ingratitudine di alcuni esponenti politici nei confronti del suo lavoro riesce a toglierle l’orgoglio di esser parte di quella fondamentale istituzione italiana che è la scuola pubblica.

Infine, c’è la storia di Amina, cittadina eritrea. Amina ha una figlia di 2 anni, Amal, un nome arabo che ha il significato di “speranza”. Amina ha scelto questo nome mossa proprio dalla speranza di dare a sua figlia la possibilità di vivere in un paese libero dalle guerre civili, dai soprusi e dalla violenza. Ha speso quei pochi soldi che aveva per arrivare in Libia e imbarcarsi per l’Italia, ma a largo delle coste di Lampedusa la nave è stata intercettata dalle autorità italiane, le quali hanno riaccompagnato Amina, Amal e altre 200 persone verso Tripoli contro la loro volontà e senza dar loro la possibilità di presentare una richiesta d’asilo così come richiede il diritto internazionale.

Perché vi ho raccontato tutte queste storie?  Ebbene, perché sabato pomeriggio, in quelle due aule del Parlamento, la mia storia e quella di queste persone si sono intrecciate.
Tutti quanti abbiamo ascoltato i discorsi dei nuovi Presidenti della Camera e del Senato e abbiamo visto in loro la “buona Italia”, quella che con orgoglio rivendica la difesa dei diritti delle persone che, per un attimo o per una vita, hanno lasciato in Italia una storia da raccontare.
In tutti quanti noi riprendeva vigore quel sogno di un’Italia migliore, un’Italia emozionante da raccontare ai propri figli e ai propri nipoti, un’Italia di cui vantarsi all’estero, perché simbolo di onestà, impegno civile e aiuto verso chi più ne ha bisogno.

Tutti noi, guardando i visi commossi di Laura Boldrini e Pietro Grasso mentre enunciavano quelle fortissime parole in difesa dei diritti, ci siamo sentiti rassicurati, protetti.
Tutti noi, in attesa di vedere quelle parole prender forma all’interno dell’ordinamento italiano, ci auguriamo che esse, durante quegli attimi intensi, abbiano raggiunto il più ampio numero di parlamentari possibili, affinché essi possano svolgere il lavoro che i cittadini hanno loro affidato: darci l’emozione di credere veramente che un futuro migliore, in Italia, sia possibile.

Veronica Orrù | @verocrok


The Good Italy (maybe Bill Emmott was right)

The day after the elections I declared myself very disappointed by the result of the vote. I believed that in front of me would unfold a political scenario unable to defend the rights this country had been asking for such a long time, and that are desperately needed.

And still the other day, with the election of two people of great moral and civic profile such as Laura Boldrini and Piero Grasso, something lit inside of me: what if Bill Emmott was right? What if the time to say "the End" isn't here yet and "good Italy" still has the possibility to save itself?

During the weekend, thinking about what happened, many stories came to my mind. There's the story of Massimo, an entrepreneur from Vicenza who works in the textile field, forced to fire 10 of his employees in order to not let his small company fail in the midst of the crisis. At work Massimo considered everyone as his brothers, since he had worked alongside them for 12 years. Today, only the smile of his daughter Marianna, 7 years old, manages to take out of his mind the despair on his employees' faces when he told them he had to fire them.

I think of Karim, born in Rome in 1995 and son of a multiethnic, new generation Italy, born to a couple of Egyptians who have been residing in Italy for many years. After the diploma at the Liceo Righi, Marco has requested the Italian citizenship. Last month he turned 18, but his country still doesn't consider him an Italian citizen at all effects. He's a great fan of Luigi Mastrangelo, he'd like to play in the national volley team and give his country a medal, but not having the Italian citizenship remains an obstacle for the realization of his dream.

My thoughts go to Silvia, a 25 year old girl with a diploma in Physics, 110 cum laude, who has been forced to leave Sardinia, one of the regions with the highest unemployment rate in the country. Today she works in Switzerland and whilke she hopes to put her knowledge to good work in her island, she looks dreaming at the four mores flag over the desk in her Geneve room.

Giovanni comes to my mind, a 62 year old worker from Modena. Giovanni has two daughters, both go to the university, one of them would like to go abroad to get a Master at LSE. Today Giovanni doesn't know how to explain that he won't be able to pay their fees because the Government, after 36 years of paid contributions and 4 in mobility, has decided to label him as "esodato", not giving him the right to receive a pension after working his entire life.

I think of Claudia, student of Engineering at the University of Palermo. The successes in her studies will never be able to fill the void created three years ago, when a few bullets reached her father by mistake, causing his death at only 53. Since then, she entered the association Libera, and works to give a future to her region.

Annamaria is an Italian, History and Geography teacher in a middle school of Lombardy. She has three classes, for a total of 74 pupils. Every day she goes to work happy of doing what she's always dreamed of, since she was a little girl: forming tomorrow's generations. Not even the ingratitude of some political exponents toward her work manages to take away the pride of being part of that fundamental institution that is the public school.

Finally there's the story of Amina, who has a 2 year old daughter, Amal, an Arabic name that means "hope". Amina has chosen this name with the hope to give her daughter the possibility to live in a country free from civil war, violence and abuse. She spent the little money she had to get to Lybia and embark for Italy, but near Lampedusa the boat was intercepted by the Italian authorities, who have accompanied Amina, Amal and other 200 people towards Tripoli, against their will, and without giving them the possibility to present asilum request, as guaranteed by international right.

Why have I told you all these stories? Well, because on Saturday afternoon, in those two Parliament rooms, my story and that of these people have intersected.

Veronica Orrù | @verocrok

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