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giovedì 20 dicembre 2012

L'inerzia dell'informazione genera mostri



Il mese scorso mi sono occupata della questione (di vita e di morte, ammetteremo) del murale di Francesco Totti a rione Monti - quello che, per intenderci, è stato imbrattato da tifosi laziali dopo anni di onorata... facciata. 

Storia che ha scatenato le ire della tifoseria capitolina e creato un non trascurabile putiferio, mettendo insieme a sproposito temi come ‘arte’, ‘cultura’ e ‘sport’, in un miscuglio non troppo convincente. Ma tant’è.

In quei giorni il presidente del Primo Municipio (che ha la giurisdizione di Roma Centro, e, appunto, del Rione Monti) dichiarò ad una nota testata romana che si sarebbe occupato della riqualificazione del murale. Senza specificare con che modalità. E che ci vuole?, si potrà giustamente addurre: bastava chiedere; chiedere chi si sarebbe occupato del restauro, con quali fondi, con quali permessi e, soprattutto, con quali motivazioni.

Orbene, a distanza di due settimane dalla polemica, nessuno si era ancora degnato di porre alcuna delle precedenti domande, con il risultato che non era stata data nessuna delle rispettive risposte. In sostituzione, però, erano arrivate (e continuano ad arrivare) lettere ed email minatorie e deluse, di cui la più illustre rappresentante termina con un “Nel salutarla le URLO un FORZA LAZIO!” (cit.): vi risparmio il resto, cioè fiumi di parole di sintassi opinabile sputate contro una classe politica che spreca, sperpera e scialacqua i nostri soldi per sciocchezze.

Eppure, come anticipato, bastava chiedere. Nell’occasione mi è stato infatti spiegato e documentato che i fondi, la manodopera e persino l’idea stessa del restauro era puramente volontaria ed esterna al Municipio – e, dunque, ai nostri soldi. Ed effettivamente bastava un minimo di buonsenso a capire che dietro un’iniziativa del genere non potevano esserci quegli stessi finanziamenti che, com’è noto, non bastano nemmeno per comprare le penne negli uffici di Roma Capitale.

Non parliamo di massimi sistemi, ma tutto ciò porta, essenzialmente, a un ragionamento.

La frenesia anticasta degli ultimi tempi (che il M5S ha ricercato e procacciato), se da un lato ha risvegliato le menti, dall’altro ha abituato ad un concetto di informazione incosciente, che passa solo attraverso canali - o personaggi - prestabiliti, senza approfondimento esterno ad essi. Ma la colpa si può trovare anche altrove: l’importanza assunta dal social sharing per la diffusione virale dei contenuti ci ha dato l’illusione di avere tra le dita ciò che prima era retaggio dei soli giornalisti (quelli con il tesserino), con la conseguente convinzione di avere la realtà sotto controllo -  o meglio, di poterla controllare, potenzialmente, in qualunque momento. Il tempo di tirar fuori lo smartphone dalla tasca.

E come ogni cosa facile che si dà per scontata, l’informazione sta scivolando, lentamente, nell’inerzia di esistere: ecco che un pezzo di 1200 battute, magari letto sulla metropolitana mentre si va al lavoro, un titolo nella home, oppure un tweet di un’agenzia di stampa (o peggio, di qualcuno che seguiamo) diventano uniche fonti di verità incontestabili. Nessuno ne abbia a male. I ritmi necessari per portare a casa la pagnotta ci costringono a ridurre i tempi per qualsiasi cosa.Tutto sta, però, nell’averne coscienza: perchè ora che i meccanismi di vendita dei giornali sono noti Urbi et Orbi, non è più molto accettabile un dito puntato senza cognizione.

Siamo d’accordo, ed è più che scontato che non sia un caso. Eccezion fatta dei professionisti dell’informazione, avere la possibilità di andare oltre la notizia è, giocoforza, un lusso che davvero in pochi possono permettersi: mentre i canali si moltiplicano e l’ipertesto dispiega la realtà in infinite possibilità, ci rimane ancora difficile – paradosso tra i paradossi - verificare con puntualità ciò che leggiamo o vediamo. E quel che manca, nella maggioranza dei casi, più che la volontà, è il tempo: entità impalpabile, solo per ricchi.

Carol Verde | @car0lverde


The inertia of information generates monsters

Last month I dealt with the matter (quite trivial, it is true) of Francesco Totti's mural in the Monti district - the one that has been soiled by Lazio fans after years of honorable presence.

A story that has inflamed the anger of the Rome fans and created a scandal that cannot be ignored, putting together - wrongly - topics such as art, culture and sports, in a not very convincing mix. But that's the way it goes.

Those days the president of the First Municiple (which has jurisdiction on Roma Center and the Monti district) declared to a renown Rome newspaper that he would have dealt with the riqualification of the mural. Without specifying how. What's to it? one could say: it was enough to ask; ask who would do the repairing, with what funds, with what permissions and most of all with what motivations.

Well, now, after two weeks from the scandal, nobody has taken the time to ask any of the previous questions, with the result that none of the corresponding answers has yet been given. In exchange, though, the office had received and is still receiving letters and emails of threat and disappointment, one of which ends with a "In saluting you I shout a GO LAZIO!" (cit.): I'll spare you the rest, which is a flood of words with a bizarre syntax launched against a political class that wastes, spends and squanders our money for rubbish.

And yet, as we said earlier, it would have been enough to ask. With this occasion I've been told that the funds, the manpower and even the idea itself of the reparations was purely voluntary and external to the Municiple - and, hence, our money. And infact it would have been enough to have a bit of sense to understand that behind such an initiative there couldn't be the same financing that, as we all know - isn't enough to buy pens for the offices of Rome Capital.

We're not talking about complicated stuff, but all of this brings us essencially to one reasoning.

The recent anticaste frenzy  (that the M5S has researched and encouraged), if on the one side has awoken minds, on the other has gotten us used to irresponsible information, which passes only through predetermined channels or characters, without further inquiries around them. But we can also find elsewhere: the importance of social sharing per la diffusione virale dei contenuti ci ha dato l’illusione di avere tra le dita ciò che prima era retaggio dei soli giornalisti (quelli con il tesserino), con la conseguente convinzione di avere la realtà sotto controllo -  o meglio, di poterla controllare, potenzialmente, in qualunque momento. Il tempo di tirar fuori lo smartphone dalla tasca.

E come ogni cosa facile che si dà per scontata, l’informazione sta scivolando, lentamente, nell’inerzia di esistere: ecco che un pezzo di 1200 battute, magari letto sulla metropolitana mentre si va al lavoro, un titolo nella home, oppure un tweet di un’agenzia di stampa (o peggio, di qualcuno che seguiamo) diventano uniche fonti di verità incontestabili. Nessuno ne abbia a male. I ritmi necessari per portare a casa la pagnotta ci costringono a ridurre i tempi per qualsiasi cosa.Tutto sta, però, nell’averne coscienza: perchè ora che i meccanismi di vendita dei giornali sono noti Urbi et Orbi, non è più molto accettabile un dito puntato senza cognizione.

Siamo d’accordo, ed è più che scontato che non sia un caso. Eccezion fatta dei professionisti dell’informazione, avere la possibilità di andare oltre la notizia è, giocoforza, un lusso che davvero in pochi possono permettersi: mentre i canali si moltiplicano e l’ipertesto dispiega la realtà in infinite possibilità, ci rimane ancora difficile – paradosso tra i paradossi - verificare con puntualità ciò che leggiamo o vediamo. E quel che manca, nella maggioranza dei casi, più che la volontà, è il tempo: entità impalpabile, solo per ricchi.

Carol Verde | @car0lverde

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