▼ Il tweet del giorno

Visualizzazione post con etichetta engagement. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta engagement. Mostra tutti i post

venerdì 1 febbraio 2013

Intervistato.com | Brian Solis @briansolis



Durante quest'intervista con Brian Solis, probabilmente uno dei più famosi esperti di social media al mondo, abbiamo parlato di social CRM, co-creation, modelli di business e alcune previsioni riguardo al futuro dell'utilizzo dei nuovi media nelle aziende.


Il primo argomento che abbiamo affrontato insieme a Brian è stato quello della content curation, che ha avuto uno sviluppo notevole nel 2011 e che molto probabilmente continuerà a crescere anche nel 2012, grazie a strumenti più semplici e più agevoli per la fruizione dei contenuti, specialmente per le persone che seguono i content curator. Dall'altra parte questo aspetto ha fatto sì che ci fosse anche una certa diminuzione della produzione di contenuti originali, data la facilità con cui i contenuti possono essere organizzati e proposti ai lettori. [video]

Per quanto riguarda invece l'influenza, Brian è convinto che gli strumenti online disponibili non misurino l'influenza, ma il capitale sociale. L'influenza è la capacità di causare effetti o cambiare il comportamento. Il capitale sociale è qualcosa che non solo si guadagna, ma allo stesso tempo si spende nell'interazione sia nelle reti digitali, sia nella vita reale. [video]

Una domanda sulle startup editoriali ci ha portati a parlare delle media company e delle strategie per migliorare i loro modelli di business: molte di queste, infatti, iniziano con un modello di business tradizionale. E' interessante notare come in questi casi il contenuto diventa il fattore più importante, mentre la pubblicità, come emerge anche da diversi studi, non viene praticamente mai presa in considerazione. Quindi è necessario trovare modalità per rendere la pubblicità degna di essere condivisa, specialmente in un'era in cui è estremamente facile evitarla. [video]

Le media company sono peraltro tra quelle che Brian enumera nel darwinismo digitale, ovvero quel fenomeno che si verifica quando la tecnologia e il comportamento dei consumatori cambia più velocemente della capacità di adattarsi delle aziende. Questi cambiamenti possono però essere una vera opportunità, se si rendono conto di potersi connettere alle "reti umane", far condividere del contenuto interessante e raggiungere così persone che non avrebbero potuto raggiungere altrimenti. [video]

A questo si aggiunge anche il concetto della fine del "destination web", in quanto spendiamo sempre meno tempo andando su siti specifici: se troviamo quel contenuto è grazie a un link su Twitter o su Facebook. E' necessario quindi da una parte rallentare il darwinismo digitale, e uno degli ostacoli più rilevanti è proprio la mancanza di familiarità delle persone che conducono queste compagnie con i nuovi strumenti. [video]

Brian ha anche espresso la sua opinione riguardo all'ipotesi di una evoluzione del social CRM verso la co-creazione. A suo avviso questo non è possibile, proprio perché si tratta di due aspetti ben distinti. Il Social CRM è una serie di processi, tecnologie e metodologie per la gestione delle relazioni con i clienti, mentre la co-creazione è un atto di condivisione di esperienze con la propria rete sociale che ha luogo a prescindere della volontà dell'azienda stessa.
Diventa importante riconoscere qual è l'immagine del proprio brand nel mondo dei consumatori connessi, anche perché la maggior parte delle volte è drammaticamente diversa da quella che l'azienda propone ai clienti.
La co-creazione inizia quando l'azienda riconosce questo mondo e cerca di capire il motivo delle esperienze negative dei propri clienti, per iniziare ad agire con l'intenzione di risolvere queste esperienze. [video]

Uno dei più grandi errori del social media monitoring, secondo Brian, è il fatto che è stata costruita un'infrastruttura intorno a quello che "è", piuttosto che a quello che "non è". Il numero di menzioni, like, follower, commenti non è importante: quello che davvero conta è il numero di menzioni, like, follower e commenti che non ci sono, perché è proprio lì che risiede il futuro del business di un'azienda. Il social media monitoring crea una struttura reattiva, che risponde agli stimoli, mentre la co-creation crea una struttura proattiva, dietro alla quale stanno strategie di crescita che fanno sì che i risultati misurati siano in effetti causati da esse. [video]

In chiusura abbiamo parlato dell'utilizzo dei social media all'interno delle aziende, dei problemi legati alla scarsa comunicazione tra divisioni e a quelle che sono le previsioni di Brian per il futuro dei social media.

Invito tutti a visionare l'intervista completa, molto ricca di riflessioni e informazioni.

Buona visione!

Maria Petrescu


Intervistato.com | Brian Solis

The first topic that we've talked about with Brian was content curation, which has seen a tremendous adoption during 2011 and will probably continue to grow in 2012, thanks to easier  and more glamorous sharing tools, especially for those who actually follow the content curators. On the other hand this aspect has caused a decrease of original content production, given how easy it is to organize and share other people's content. [video]

As for influence, Brian is convinced that the online tools that are available don't really measure influence, but social capital. Influence is the ability to cause effect and change behavior. Social capital is something that isn't only earned, but also spent in the interactions in both digital networks and real life. [video]

One question about publishing startups has brought us to talk about media companies and strategies to enhance their business models: many of these actually start with traditional business models. It is interesting to note how in these cases content becomes the most important factor, while advertising, as many studies confirm, is basically iored. So it is necessary to find a way to make advertisement worthy of being shared, especially in an era where it is so easy to skip it. [video]

Media companies are also enlisted by Brian amongst those of digital darwinism, that phenomenon that you can observe when technology and consumer behavior is changing faster than the companies' ability to adapt. These changes can be a true opportunity, if they realize they can plug in to the human networks, and make people share interesting content so that they can reach those users who wouldn't have been reachable otherwise. [video]

We also have to consider the concept of the end of the "destination web", since we spend less and less time going to specific websites: if we find content it is thanks to a Twitter or Facebook link. So it's necessary to slow down digital darwinism, and one of the major obstacles along this way is the fact that the people running these media companies aren't using new tools at all. [video]

Brian has also shared his opinion regarding the hypothesis that social CRM will evolve into co-creation. He doesn't think this is possible, simply because they are two very distinct, parallel aspects. Social CRM is a series of processes, technologies and methodologies for client relationship management, while co-creation is an act of experiences sharing with the social network which happens regardless of whether the company wants it to or not.
It is also important to recognize what the brand's image in the connected consumers' world is, because most of the times it is drammatically different from what the company proposes to clients.
Co-creation starts when the company recognizes this world, tries to understand what causes the negative experiences and starts fixing them. [video]

One of the biggest mistakes in social media monitoring in Brian's opinion is the fact that we've build an infrastructure around what "is", rather than what "isn't". The number of mentions, likes, followers, comments isn't relevant: what really matters is the number of mentions, likes, followers and comments that aren't there, because that's where the future of business lies. Social media monitoring, by nature, creates a reactive structure, that responds to stimuli, while co-creation creates a proactive structure, with growth strategies that actually cause the results that it then measures. [video]

Finally we talked about the use of social media inside companies, the problems caused by the lack of communication between divisions and Brian's predictions on the future of social media.

I invite everyone to view the full interview, much richer in insights and details than my brief synthesis.

Enjoy!

Maria Petrescu

mercoledì 2 gennaio 2013

Che cos'è la #socialtv? E' un' #mistero.



La notte della mancata fine del mondo, quella dei Maya volgarmente detta, è andato in onda lo scontro titanico della social tv: da una parte c'era Master Chef, prodotto made in Sky, e Servizio Pubblico di Santoro, seguitissimo su Twitter. Chi ha vinto alla fine? Ha vinto #mistero. Il giorno dopo i guru della social tv erano quasi tutti muti. C'era da aspettarselo.

Masterchef è un reality made in Sky, gente che sa fare tv e social tv, basta guardare l'apparato di X-Factor, che ha dimostrato che non basta un hashtag, sicuramente bisserà il successo dell'anno scorso anche in termini social.

Servizio Pubblico è una creatura della ditta Santoro&C., gente che la social tv non la sa fare, visto l'uso di Facebook l'anno scorso e l'operazione Partito Liquido con Liquid Feedback quest'anno. Santoro, che nonostante tutto continuo sempre a stimare, e Marco Travaglio, che nonostante le sue qualità continuo a non stimare, non si curano di Twitter, hanno un atteggiamento di persone che dicono ancora espressioni tipo "Il popolo della rete".

Poi c'è Mistero, una trasmissione che ha avuto il suo successo quando Daniele Bossari, che sembra un bambino con la barba alla prima comunione, ha, diciamo, preso in mano la conduzione. Mistero tratta di misteri, dal poltergeist alle scie chimiche, passando per i Maya. Mistero non è trash, è diverso, ma è qualcosa che fa ridere enormemente per le cose messe in campo. La puntata sulla fine del mondo è stata imbarazzante e molto divertente, con tutti gli ospiti che ripetevano come la profezia Maya o era una stupidaggine o era stata male interpretata, mentre Bossari continuava a chiedere di terremoti e altre calamità alla redazione in studio. Chiudiamola qui.

Il giorno dopo i commenti, che di solito abbondano, erano scarsi. Perchè? Io parto da una considerazione, per parlare di social tv, oggetto suscettibile di tante interpretazioni, si dovrebbe conoscere cos'è la tv. Prendo in prestito un claim usato per una campagna mondiale sul social media marketing: Se vuoi occuparti di social tv e la tv nella vita l'hai solo guardata, lo stai facendo male.

Molti storceranno la bocca, ma sembra che il mio sia diventato un vizio. Questo vale soprattutto quest'anno nel quale nel nostro paese c'è stato un forte ritorno della tv, primo fattore l'aumento degli utenti delle tv satellitari e on demand, e le riprese degli ascolti per il tg1 post Minzolini e del Tg4 post Fede che sembravano deceduti - era su Repubblica di qualche giorno fa. Sta di fatto che la social tv sta aiutando la tv, anche quella tradizionale e generalista, con gente che si scambia opinione su ogni cosa, anche su cose che non vedrebbe mai, o che non confesserebbe mai di vedere, ma questo è l'engagement, cioè la capacità di coinvolgere i propri utenti. Questo però in pochi casi è organizzato dalla produzione, a parte alcune esperienze di Sky, ma piuttosto è fra gli utenti stessi. In realtà la tecnologia c'è già, fatta da Smart Tv e dalle prossime piattaforme Google Tv e Apple Tv, quello che manca sono i contenuti e i linguaggi.

Mi dispiace dirlo ma non sarà questa nuova pletora di esperti web a fare questa rivoluzione, come in realtà non la sta facendo negli Stati Uniti, dove la social tv è avanti, ma dove stanno realizzando contenuti nuovi apprendendo le lezioni che vengono delle innovazioni dei linguaggi narrativi degli ultimi 15 anni. Quello che vedo sono continue analisi di numeri ma pochissime di sentiment e molte poche proposte. Si vola basso e sarà ancora più basso se non si torna al design e alla progettazione dei contenuti. Il rischio? Un'altra sbronza social che passerà.

Simone Corami | @psymonic


What is social tv? It's a mystery

The night the world was supposed to end, commonly known as the Mayan night, was also the night of the titanic challenge of social tv: on the one side with Master Chef, a product made in Sky, and Servizio Pubblico by Santoro, very followed on Twitter. Who won? Mistero. The day after, all the social tv gurus were silent. It was to be expected.

Master Chef is a made in Sky reality, a place where people are capable of doing tv and social tv, just look at the X-Factor apparatus, and has proved that it's not enough to make up a hashtag, and it will surely repeat last year's success in terms of social engagement.

Servizio Pubblico is a creature of the Santoro&C., people who can't do social tv, given the use of Facebook last year and the operation Liquid Party with Liquid Feedback this year. Santoro, who I continue to esteem nevertheless, and Marco Travaglio, who in spite of his qualities I continue to not esteem, don't care about Twitter, and have the behavior of people who still use expressions such as "the people of the web".

And then there's Mistero, a show that has had its success when Daniele Bossari, who looks like a child with a beard at his first communion, has, let's say, taken the reins of the conduction. Mistero treats misteries, from poltergeists to chemical paths, and Maya. Mistero isn't trash, it's different, but it's something that makes you laugh terribly for the things that are put in the field. The episode on the end of the world was embarassing and very funny, with all the guests repeating how the Maya profecy was either nonsense or ill interpreted, while Bossari continued to ask about earthquakes and other calamities to the redaction in the studio. Let's just close it here.

The following day the comments, that are usually incredibly numerous, were scarce. Why? I'll start from a consideration, to talk about social tv, an object that can be interpreted in many ways,

Il giorno dopo i commenti, che di solito abbondano, erano scarsi. Perchè? Io parto da una considerazione, per parlare di social tv, oggetto suscettibile di tante interpretazioni, si dovrebbe conoscere cos'è la tv. Prendo in prestito un claim usato per una campagna mondiale sul social media marketing: Se vuoi occuparti di social tv e la tv nella vita l'hai solo guardata, lo stai facendo male.

Molti storceranno la bocca, ma sembra che il mio sia diventato un vizio. Questo vale soprattutto quest'anno nel quale nel nostro paese c'è stato un forte ritorno della tv, primo fattore l'aumento degli utenti delle tv satellitari e on demand, e le riprese degli ascolti per il tg1 post Minzolini e del Tg4 post Fede che sembravano deceduti - era su Repubblica di qualche giorno fa. Sta di fatto che la social tv sta aiutando la tv, anche quella tradizionale e generalista, con gente che si scambia opinione su ogni cosa, anche su cose che non vedrebbe mai, o che non confesserebbe mai di vedere, ma questo è l'engagement, cioè la capacità di coinvolgere i propri utenti. Questo però in pochi casi è organizzato dalla produzione, a parte alcune esperienze di Sky, ma piuttosto è fra gli utenti stessi. In realtà la tecnologia c'è già, fatta da Smart Tv e dalle prossime piattaforme Google Tv e Apple Tv, quello che manca sono i contenuti e i linguaggi.

Mi dispiace dirlo ma non sarà questa nuova pletora di esperti web a fare questa rivoluzione, come in realtà non la sta facendo negli Stati Uniti, dove la social tv è avanti, ma dove stanno realizzando contenuti nuovi apprendendo le lezioni che vengono delle innovazioni dei linguaggi narrativi degli ultimi 15 anni. Quello che vedo sono continue analisi di numeri ma pochissime di sentiment e molte poche proposte. Si vola basso e sarà ancora più basso se non si torna al design e alla progettazione dei contenuti. Il rischio? Un'altra sbronza social che passerà.

Simone Corami | @psymonic

sabato 17 dicembre 2011

10minuticon Stefano Mizzella @stefanomizzella



Stefano Mizzella, social media strategist in Open Knowledge, ha spiegato che cos'è la gamification e in quali modi questa può essere impiegata nel marketing, per coinvolgere i clienti, gli utenti, ma anche e soprattutto i dipendenti delle aziende per rendere più produttive le attività di business.


Qualche settimana fa abbiamo avuto il piacere di intervistare Stefano Mizzella, social media strategist in Open Knowledge.

Innanzitutto abbiamo chiesto a Stefano quale sia la sua definizione di gamification: in sostanza si tratta dell'utilizzo del gioco in ambiti che non sono ludici, e che possono spaziare dal marketing alla comunicazione, all'innovazione, collaborazione e business.

Attualmente la gamification sta attraversando una fase di hype, tutti ne parlano ed è diventato un fenomeno alla moda, portando alla creazione di definizione più ortodosse e altre più ibride, ma ad ogni modo è qualche cosa che appassiona. Stefano, pur non essendo un game designer o un esperto di giochi, ne sta seguendo le evoluzioni con attenzione e senso critico.
Il suo maggiore interesse è nel capire in che modo le meccaniche, le dinamiche del gioco possano avere risultati all'interno dell'attività professionale, per coinvolgere meglio sia clienti che dipendenti. [video]

Abbiamo parlato quindi di alcuni esempi di utilizzo delle dinamiche del gioco da parte delle aziende con i propri clienti,  primo fra tutti il caso Starbucks in associazione con Foursquare, ma la vera difficoltà è portare il gioco dentro l'azienda, dove ci si scontra con ostacoli molto più grandi. Tutto ciò che è legato all'ambito ludico è visto come una minaccia per l'attività lavorativa, ma in realtà molte delle strategie utilizzate verso l'esterno possono essere portate all'interno per migliorare la produttività. [video]

Alcuni parallelismi sono già evidenti, come la corrispondenza tra la intranet aziendale e Facebook, piuttosto che quella tra il check-in su Foursquare e il timbrare il cartellino: le modalità del gioco possono cambiare in meglio il comportamento. Si tratta quindi di un'applicazione delle dinamiche del gioco non fine a se stessa, ma intesa come vettore di cambiamento su diversi livelli, ovvero collaborazione, innovazione e leadership. [video]

Per quanto riguarda il lato collaborazione, una prima applicazione sarebbe possibile a livello di intranet. Molte aziende pensano che basti avviare l'intranet e tutti gli utenti smetteranno di usare le email e cominceranno ad aggiornare status e a condividere elementi professionali, ma questo non accade quasi mai proprio perché manca il coinvolgimento. Applicare dinamiche del gioco a un contesto di collaborazione interna come la intranet può avere risultati positivi, soprattutto se l'azienda incentiva le dinamiche di competizione e sfida veicolate dal gioco. [video]

L'innovazione può diventare partecipativa, collaborativa: anche i dipendenti di livello medio/basso hanno una voce e possono esprimere la propria idea e la propria opinione. Nascono così le piattaforme di idea management, su cui però a sfidarsi ed entrare in competizione sono le idee, generando competizione anche tra chi quelle idee le ha proposte, magari attraverso un sistema di punti. [video]

Naturalmente non tutto è "gamificabile", le dinamiche del gioco non posso essere applicate, come alcuni dicono, a qualsiasi tipo di prodotto e a qualsiasi tipo di business. I game designer, in particolare, considerano il gioco qualcosa di più importante, che ti deve immergere in un'esperienza ben più significativa di una semplice raccolta di punti. Bisogna quindi capire le reali motivazioni e i reali bisogni dei dipendenti che si vogliono sollecitare attraverso il gioco.

E' difficile infatti coinvolgere i dipendenti in un'ottica comportamentistica, promettendo gadget di valore più o meno alto in cambio della partecipazione alle discussioni. Si deve invece capire come la partecipazione e l'attitudine alla competizione migliora il modo in cui si lavora, portando vantaggi sia per il singolo che per l'azienda. [video]

Abbiamo parlato anche di modelli freemium, dell'evoluzione della gamification in ambito aziendale e le tattiche e le strategie che sarà necessario implementare affinché le applicazioni non rimangano sterili, ma portino ad effettivi benefici.

Invito tutti alla visione dell'intervista, molto più dettagliata e ricca di informazioni rispetto a questa mia breve sintesi.

Buona visione!

Maria Petrescu


10 minutes with Stefano Mizzella

A few weeks ago we had the pleasure of interviewing Stefano Mizzella, social media strategist in Open Knowledge.

First of all we asked Stefano what his definition of gamification is: basically it's the use of game dynamics in context that aren't linked to games, and that can rage from marketing to communication, to innovation, collaboration and business.

At the moment gamification is in a period of hype, everybody's talking about it and it has become an up-to-date feature which leads to the production of several definitions, both orthodox and hybrid, but by any means it's a topic people are very passionate about. Stefano, even though he's not a game designer or a game expert, is following the evolution with great attention.
His main interest is understanding in what ways game mechanics can bring results inside the professional activity, with the goal of engaging both clients and employees. [video]

We talked about some examples of use of game dynamics in businesses, first of all the Starbucks case in association with Foursquare, but the real trick is bringing games inside the company, where you find much greater resistance. Everything that has to do with games is seen as a threat for the working activity, but in reality many of the strategies used towards clients can be brought inside to increase productivity[video]

Some parallels are already self-explanatory, such as the intranet - Facebook parallel, or the Foursquare check-in - clocking parallel: game dynamics can change behavior and make it better. We're talking about an application of game mechanics that is seen as a vector of change on different levels, collaboration, innovation and leadership. [video]

As for the collaboration aspect, a first possible application would be possible at an Intranet level. Many companies think they will just have to start the intranet and all users will stop using emails and start updating their status and sharing professional content, but this hardly ever happens because there is a severe lack of engagement. Applying game dynamics to an internal collaboration context such as the intranet can bring to positive results, especially if the company incentivates competition dynamics through games[video]

Innovation can become collaborative: even medium/low level employees have a voice and can express their ideas and opinions. This is how idea management platforms are born, on which ideas compete and generate competition among those who have proposed them through a system of points of badges. [video]

Of course not everything can be "gamified", game dynamics cannot be applied, as some say, to any kind of product or any kind of business. Game designers, in particular, consider games as something more important, that must bring you an experience that goes further than just getting points. Companies must understand the true motivations and real needs of the employees they want to engage through games.

It is very difficult to engage employees in a behavioral optic, by promising gadgets in exchange for participation. They must understand how participating and competition make work better and bring benefits both for the employee and the company. [video]

We also talked about freemium models, the evolution of gamification in companies and the tactics and strategies they will have to implement in order to actually bring benefits to the company.

I invite everyone to view the full interview, much more detailed and rich in information than my brief synthesis.

Enjoy!

Maria Petrescu

domenica 6 novembre 2011

Intervistato.com | Paolo Iabichino @iabicus



Insieme a Paolo Iabichino, direttore creativo in Ogilvy, abbiamo parlato dell'evoluzione dell'advertising in Italia, l'integrazione con i social media e l'uso dell'adv come leva di engagement.


Qualche giorno fa abbiamo avuto il piacere di intervistare Paolo Iabichino, direttore creativo in Ogilvy.

Innanzitutto abbiamo chiesto a Paolo di descriverci il percorso evolutivo dell'advertising in Italia nel corso degli anni: a suo avviso, tuttavia, non c'è stata una vera e propria evoluzione.
Dal punto di vista storiografico, la versione moderna della pubblicità comincia negli anni '50, '60, quando i grandi network arrivano in Italia e aprono le loro agenzie: in questo senso, quindi, la pubblicità in Italia è stata più che altro subita. [video]

Una delle più grandi intuizioni della pubblicità italiana in chiave moderna è stata senza dubbio il Carosello, una vicenda senza pari nel resto del mondo. Le storie e i personaggi entrati ormai nell'immaginario collettivo sono legate al lavoro del pubblicitario Armando Testa, che ha creato icone ancora presenti e rilevanti nel panorama dell'advertising televisivo. [video]

Purtroppo l'advertising italiano non gode di una grande maturità: secondo Paolo è di 15 - 20 anni indietro rispetto alle macrotendenze a cui assistiamo nel resto del mondo. In alcuni paesi vengono sviluppate campagne in maniera crossmediale a prescindere dal mezzo utilizzato, mentre in Italia il 60-70% degli investimenti va ancora nella pubblicità televisiva.
Del resto si tratta di un paese che tratta internet in maniera superficiale, vedendolo come un media e non come un habitat all'interno del quale inserire i propri messaggi.
Persino all'interno dei social network si ragiona ancora secondo la logica del GRP, quindi sebbene esistano già modalità nuove, inedite e coinvolgenti per mettere in relazione brand e clienti, il mindset è tutt'ora ancorato a logiche televisive monodirezionali. [video]

Per fare pubblicità in maniera crossmediale è necessario dimenticarsi del canale: le campagne che funzionano meglio sono quelle che si concentrano innanzitutto sull'idea, e in Ogilvy si parla addirittura di "ideale".
Si parte dall'idea e poi si fa in modo che i diversi mezzi che vengono attivati non si limitino a declinare l'idea di comunicazione: per integrare l'idea è necessario far sì che si usi un determinato linguaggio in funzione del mezzo in cui quell'idea si esprime. [video]

Negli ultimi anni la pubblicità ha perso ascendente, carisma, suscitando addirittura diffidenza; secondo Paolo, tuttavia, sarebbe un errore considerare il marketing non convenzionale (viral,  flash mob, guerrilla marketing) come la panacea per risolvere la crisi della pubblicità tradizionale.
Si rischia di replicare all'interno delle nuove dinamiche gli stessi errori perché si ragiona ancora in una logica di invadenza, di interruzione, e non di rilevanza. [video]

Abbiamo chiesto a Paolo quanto sia utile fare compravendita di Fan e Like su Facebook: a suo avviso sono strumenti utili e leciti se serve massa critica per far leva su un messaggio. Il problema è che le persone non restano attaccate a lungo a un brand se non c'è costantemente interazione, dialogo e una produzione di contenuti che le faccia sentire parte della storia del brand. [video]

L'advertising visto anche come leva di engagement, dato che continua ad avere un ruolo importante nello scenario della macroeconomia ed è il vettore principale dei consumi e dello sviluppo economico.
La pubblicità è piccola cosa in un panorama culturale, sociale, antropologico così radicalmente cambiato: in questo momento la cosa più importante è mettere al centro della scena le persone. [video]

Abbiamo parlato di invertising, dell'importanza della ricerca scientifica nell'advertising (sia da un punto di vista tecnologico che da un punto di vista psicologico), dell'etimologia del vocabolario del marketing, del neuromarketing, analisi del sentiment e prospettive per il futuro dell'advertising nelle aziende e nelle agenzie.

Invito tutti, dunque, a visionare l'intervista integrale, molto più ricca di dettagli e riflessioni rispetto a questa mia breve sintesi.

Buona visione!

Maria Petrescu

Photo credit: Robert Piattelli


Intervistato.com | Paolo Iabichino

A few days ago we had the pleasure of interviewing Paolo Iabichino, creative director in Ogilvy.

Firstly we asked Paolo to describe the evolution of advertising in Italy in time: his opinion, however, is that there hasn't actually been a real evolution.
From a storiographic point of view, the modern version of advertising starts in the 50s, 60s, when the big networks arrive in Italy and open their agencies: in this sense, advertising in Italy has mostly been endured rather than produced. [video]

One of the greatest intuitions of Italian advertising in a modern interpretation was undoubtedly the Carosello, and there's nothing similar to it in the rest of the world. The stories and the characters have entered the common imagination are linked to the work of Armando Testa, who has created icons that are still present and relevant in the television advertising scenario. [video]

Unfortunately Italian advertising isn't very mature: in Paolo's opinion it's 15 - 20 years behind the big trends we see in the rest of the world. In some countries campaigns are developed in a crossmedia fashion, regardless of the utilized medium, while in Italy 60-70% of the investments go into TV ads.
We're talking about a country that still treats Internet in a superficial manner, seeing it as a media and not as a habitat inside which you can insert your messages.
Even inside social networks the logic is the logic of GRP, so even though new, engaging ways to put brands and clients into contact already exist, the mindset is still anchored to onedirectional TV logics. [video]

To do advertising in a crossmedia manner it is necessary to forget the mean: campaigns that work the best are the ones that focus on the idea, and in Ogilvy we talk of "ideal".
You start from the idea and then you make sure that the different activated means don't limit their function into developing the idea of communication: to integrate the idea it is necessary to make sure that the language used is determined in function of the mean in which that idea expresses itself. [video]

During the last few years advertising has lost power, charisma, even creating mistrust; in Paolo's opinion, however, it would be a mistake to consider  unconventional marketing (viral, flash mobs, guerrilla marketing) as the final solution to solve the crisis of traditional advertising.
The risk is to replicate inside the new dynamics the same mistakes, because the logic is still one of intrusiveness, interruption, not relevance. [video]

We asked Paolo how useful buying Fans and Likes on Facebook actually is: in his opinion these are useful and legitimate tools if you need a critical mass to enhance a message. The problem is that people don't stick around a brand for long if there isn't constant interaction, dialogue and a production of content that makes them feel a part of the history of the brand. [video]

Advertising seen as an engagement tool, since it continues to have an important role in the macroeconomy scenario and is the main driver of shopping and economical development.
Advertising is something small compared to the cultural, social and anthropological scenario that is so drastically changed: at the moment the most important thing to do is put people in the center of the scene. [video]

We talked about invertising, the importance of scientific research in advertising (both from a technological and a psychological point of view), the etimo of the marketing lexicon, neuromarketing, sentiment analysis and future expectations for advertising in agencies and companies.

I invite everyone to view the full interview, much richer in details and insight than my brief synthesis.

Enjoy!

Maria Petrescu

▼ Leggi i migliori della settimana

2