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giovedì 20 settembre 2012
La deriva virale dell’informazione online e il crepuscolo della qualità
Che succederebbe se a Internet accadesse ciò che successe con le tv commerciali negli anni ’80? Gossip, varietà leggero, scollature e scosciature, infotainment, pubblicità ficcata un po’ dappertutto, veline, velone, papere, misteri paranormali, maghi, tuttologi urlatori, ufo e casi umani, marchette e notizie addomesticate.
Insomma tutto ciò che potesse far crescere l’audience era (ed è) perseguito con religiosa attenzione e fa niente che il livello culturale dell’offerta venisse sprofondato a livelli subatomici. Altri tempi, altri media, si direbbe, cosa c’entra Internet?
In uno spettacolare post di luglio scorso, Gianluca Neri aka Macchianera ha misurato gli ingombri occupati da contenuti “viral-oriented” sui principali mainstream informativi italiani (Repubblica e Corriere). Tutto un fiorire di video di gatti teneroni, cani cantanti, incidenti bizzarri, scollature provocanti (trending topic!), vacanze vip, flirt, amori finiti e corna inflitte. L’ingombro totale di questi contenuti? Occhio e croce un buon 30% dello spazio, pixel più, pixel meno.
Tutto qui? Neanche per sogno. A Trieste, durante State of the Net sono circolati numeri preoccupanti sui referral, ovvero sulla fonte del traffico in arrivo sui grandi mainstream. Si parla di quote di quasi il 30% dei click che arrivano dai social (anche se ufficialmente se ne dichiara un più tranquillizzante 10%). Così, nelle redazioni online, circolano sempre più insistentemente concetti come “virale”, “condivisione”. Concetti che, ed è questo il nocciolo del problema, stanno entrando nel set di criteri utilizzati dai giornalisti per valutare cosa sia o meno “una notizia”.
Insomma, come dicevamo appunto a Trieste con Luca De Biase, fra i criteri di notiziabilità è ormai consolidata anche la “viralità potenziale” di un dato contenuto. Si tende, cioè a scegliere se dare spazio o meno a un dato fatto, sulla base della sua presunta capacità di diventare virale, ovvero di essere condiviso e commentato sui social e quindi di attirare traffico verso il sito del quotidiano.
Si pubblica così il video del gatto pianista e la galleria fotografica della starlette poco vestita e si sceglie con occhio nuovo anche quali notizie dare e come darle (per esempio spezzando l’articolo in decine di “sottocontenuti” facili da condividere e infarcendoli di video e immagini). Qualcuno nota l’assonanza fra questa pratica e la ricerca spasmodica dell’audience “facile” di stampo televisivo?
La domanda da porsi, a questo punto è: quel che è virale è anche di qualità, oppure la grande diffusione si ottiene sfruttando la pancia profonda dei lettori, le emozioni istintive, le pruderie, le morbosità da buco della serratura e la tendenza al disimpegno? Non che sia una cosa nuova e nata con Internet. Durante il festival del giornalismo, Mario Sechi, direttore de “Il Tempo”, da buon vecchio cronista ha detto chiaramente che per vendere i giornali (e l’informazione in genere) continuano a valere le vecchie regole ovvero le tre “S”, sesso, sangue e soldi.
Sia quello che sia credo che i giornalisti online e, perché no, anche i lettori, (cioè noi) si dovrebbero chiedere se questa deriva della Rete verso una dimensione da sterminato medium di infotainment a forte caratterizzazione commerciale sia o meno un problema, se sia un concetto sul quale interrogarsi. Sì, perché, in questo caso l’approfondimento, il contenuto più culturalmente ricco troverebbero ancora spazio? Senza parlare dell’utopia della Rete come veicolo e humus di un’intelligenza collettiva più ampia della somma dei suoi singoli addendi, che poi siamo noi. Un’utopia, appunto.
In vista della sempre maggiore integrazione del Web col mezzo televisivo, della migrazione sempre più massiccia sui dispositivi mobili e della morte annunciata della stampa cartacea, la qualità dell’informazione online è un concetto strategico perché tende a rappresentare la qualità dell’informazione tout-court. Il problema è che la rete è ormai governata da un ristretto oligopolio di grandissimi player (Google, Facebook, Microsoft, Apple). Player che hanno tutto l’interesse che la direzione non cambi.
Daniele Chieffi | @danielechieffi
The viral drift of online information and the dusk of quality
What would happen if Internet went through the same things that the commercial TV of the 80s went through? Gossip, light variety shows, decolletees, infotainment, publicity shoved everywhere, dancers, big dancers, ducks, paranormal mysteries, magicians, screaming experts, ufos and human cases, hustlers and domesticated news. Everything that can make the audience grow was (and is) followed with religious attention and it doesn't really matter that the cultural level has gone underground. Different times, different media, one would say, what does the Internet have to do with it?
In a great post published last July, Gianluca Neri aka Macchianera has measured the space occupied by viral oriented content on the most important mainstream Italian newspapers (Repubblica and Corriere). A blooming of cuddly cats, singing dogs, strange accidents, provoking decolletees (trending topic!), VIP vacations, flirts, finished relationships and betrayals. The total space occupied by these contents? About 30%, little more, little less.
Is it all here? Not even close. At Trieste, during the State of the Net, some disturbing numbers about referrals have been published, which is the source of traffic coming in to great mainstreams. We're talking about 30% of clicks that come froms ocial networks (even though lately we've been hearing a much more tranquilizing 10%). So in online redactions, there are some concept that have become insistent, such as "viral", "sharing". Concept that, and this is the heart of the problem, are entering in the set of criteria used by journalists to define what is or is not "news".
So, as we said in Trieste with Luca De Biase, among the news criteria there is also the "potential virality" of a given content. There is the tendency to choose whether to give space or not to a given fact, based on its alleged capacity of becoming viral, which means to be shared and commented on social media and attracting traffic towards the newspaper's website.
So that's how you publish the video of the pianist cat and the photogallery of the naked star and choose with a new perspective what news to give and how to give them (for example breaking the article in dozens of subcontents that are easy to share, and filling them with videos and images). Does anyone notice the similarity between this habit and the desperate research of "easy" TV audience?
The question we should ask, at this point is: what is viral is also high quality, or the great distribution is obtained by exploiting the readers emotions, their instincts, the morbosity of the keyhole and the tendency to disengagement? Not that it's something new, or born with the Internet. During the Journalism Festival, Mario Sechi - director of Il Tempo - as a good old chronist has said that, in order to sell newspapers (and information in general), the three S rule is always valid: sex, blood and money.
Be what it may, I believe that online journalists and, why not, also readers (us) should ask themselves whether this drift of the web towards a dimension of infinite infotainment medium strongly characterized as commercial is or isn't a problem, whether it's a concept we should ask ourselves some questions about. Yes, because in this case, would the research, and the more culturally rich content find space? Without even thinking about the utopia of the Web as the medium and humus of a greater collective intelligence than the sum of the single components, who are us. A utopia, in fact.
In view of the more specific integration of the web with the TV, of the massive migration on mobile devices and the announced death of the paper print, the quality of online information is a strategic concept because it tends to represent the quality of information in general. The problem is that the web is now governed by a small oligopoly of huge players (Google, Facebook, Microsoft, Apple). Players that have all the interest in keeping things this way.
Daniele Chieffi | @danielechieffi
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