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sabato 2 febbraio 2013

Un terribile amore per il numero



Alcuni studi dimostrano come tendiamo ad abbassare la guardia di fronte a formule matematiche, anche quando sono completamente nonsense. Alcune riflessioni sull'irrazionalità della nostra fede nei numeri, soprattutto nel web, dove tutto sembra vettorializzato e misurato e, allo stesso tempo, soggetto ai capricci di algoritmi e coefficienti a cui crediamo sulla fiducia.

Leggo sul Wall Street Journal che il matematico e psicologo svedese Kimmo Eriksson ha condotto un esperimento piuttosto interessante. A un campione di 200 individui in possesso di un master o di un dottorato ha chiesto di valutare due ricerche scientifiche. Una delle due, a caso, conteneva nell'abstract una formula matematica che non aveva alcuna relazione con il contenuto del testo.

Il risultato è che la maggioranza delle persone con una laurea umanistica (62%) o in scienze sociali (76%) hanno valutato la ricerca con la formula farlocca come più accurata rispetto a quella che ne era priva. Ma anche i partecipanti con istruzione tecnico-scientifica hanno dimostrato di dare un credito significativo allo studio manomesso, visto che quasi la metà di essi (46%) lo hanno giudicato più attendibile dell'altro.

L'articolo cita altri esperimenti, e accenna a numerosi casi di studi problematici sotto il profilo matematico finiti tuttavia su prestigiose riviste scientifiche, Nature compresa. Ma per il momento possiamo trarre due conseguenze. La prima è implicata nel contenuto di ciò che ho detto, la seconda nel modo in cui l'ho esposto.

Innanzitutto, la matematica ha un valore persuasivo intrinseco – a prescindere dalla sua esattezza - soprattutto su chi non la comprende. Ma anche chi dovrebbe conoscerla le crede sulla fiducia molto più spesso di quanto dovrebbe.

La seconda conseguenza è che il luogo comune secondo cui i numeri “parlano da soli” è spesso un pericoloso specchietto per le allodole. Ad esempio: rileggendo tre capoversi più sopra, si noterà che ho messo a confronto tre percentuali, ma la loro valutazione non è meramente quantitativa. Riferendomi al 46% dei laureati in discipline scientifiche, avrei potuto sostituire il “quasi la metà” con “meno della metà”, facendo slittare il senso del ragionamento verso una diversa lettura. Affermare che 'i numeri parlano da soli' significa dunque attribuire loro un valore oggettivo al di sopra dell'interpretazione e del loro uso strumentale e argomentativo, come se fossero prove di fatto e non uno dei tasselli al servizio di una dimostrazione verosimile, ma non necessariamente vera.

Tuttavia, anche in questo luogo comune c'è un fondo di verità, e chi si occupa di marketing aziendale o politico la conosce bene. Perché, malgrado quanto appena detto possa sembrare ad alcuni ovvio, nonostante tutto le cifre continuano ad esercitare un magnetismo inspiegabile. Lo sappiamo, ma continuiamo a crederci.

Se vogliamo qualche esempio oltre alla pioggia di percentuali tipica del clima elettorale, possiamo trovarlo proprio nel web e nella sua attrattiva per le metriche, utilizzate a scopo propagandistico a volte – sia chiaro - in buona fede. Spesso, anzi, non serve nemmeno mettere mano ai numeri: basta che un dato sia presentato come il frutto di un algoritmo per ottenere l'implicita presunzione di oggettività. L'algoritmo è segreto e il suo meccanismo può essere solo inferito, eppure (o proprio per questo) la sua forza persuasiva è più forte di qualsiasi confutazione razionale, come se non fosse il risultato delle scelte arbitrarie di chi l'ha formulato.

Lo sanno bene quelli di Klout: pochi ormai credono a questo coefficiente di influenza, eppure controllare un numero che sale e scende è una scarica endorfinica, proprio come una bilancia che sappiamo essere mal tarata, ma è comunque un numero, è comunque un risultato. (Lo stesso può dirsi per il numero di like e di follower – che non a caso si continuano a comprare).

La questione va ben oltre il discrimine tra ciò che è credibile e ciò che è oggettivo, e il fatto che ogni cifra è la vettorializzazione di un aspetto della realtà, a discapito di altri. Nell'attrattiva per i numeri tali giace una forza simbolica che ha poco a che fare con la logica che normalmente si attribuisce loro. Dan Sperber lo definirebbe un cultural attractor. Qualche neopitagorico solleverebbe la questione archetipica. Ma i numeri, che cosa ci dicono realmente, oltre ciò che vogliono quantificare, bucando lo schermo e i fogli?

Anche l'uomo digitale non è immune dalla superstizione: quella della propria razionalità.

Francesco Vignotto | @francescovi


A terrible love for numbers

Some studies point out how we tend to lower our guard in front of math formulas, even when they're perfectly meaningless. A few thoughts about the irrationality of our faith in numbers, especially on the web, where everything seems vectorialized and measured, and - at the same time - victim of the weirdness of algorithms and coefficients that we believe in by default.

So on the Wall Street Journal I read that Swedish mathematician and psychologist Kimmo Eriksson has conducted a pretty interesting experiment. A group of 200 people with a master or a doctorate was asked to evaluate two scientific researches. One of the two contained in the abstract a math formula that had no relationship with the rest of the text.

The result is the majority of the people with a humanistic degree (62%) or a social sciences degree (76%) have evaluated the research with the phony formula as more accurate than the one without. But even the participants with a technical scientifical preparation have proved to give a significant credit to the modified study, since almost half of them (46%) considered it more accurate than the other.

The article cites other experiments, and talks about numerous cases of problematic studies under the mathematical profile, which have ended nonetheless on prestigious scientifical magazines, Nature included. But for the moment we can infer two consequences. The first is implied in the content of what I said, the second in the way I said it.

First of all, maths has an intrinsecal persuasive value, regardless of its exactness, especially for those who don't understand it. But even those who are supposed to know it believes it on its word much more often than ithey should.

The second consequence is that the belief according to which "numbers speak for themselves" is often a dangerous one. For example: re-reading a few lines above, you'll notice that I compared three percentages, but their evaluation isn't merely quantitative. When referring to the 46% of people with a degree in scientifical disciplines, I could've substituted the "almost half" with "less than half", making the sense of the reasoning shift towards a different interpretation. To state that "numbers speak for themselves" means to give them an objective value above the interpretation and their instrumental and argumentative use, as if they were hard facts and not just one of the pieces at the service of a probable demonstration, but not necessarily a true one.

However, even in this common belief there is a little bit of truth, and who works in business or political marketing knows it well. Because, despite what we've just said might seem obvious to some, numbers continue to have an unexplainable magnetism. We know, and yet we continue to believe.

Francesco Vignotto | @francescovi

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