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lunedì 20 maggio 2013

#Terremoto in #Emilia: 365 giorni e una manciata di ore dopo



365 giorni e una manciata di ore, nel momento in cui leggerete questo post. E' questo il tempo trascorso da quella notte del 20 maggio 2012, quando la terra d'Emilia tremò la prima volta scuotendo i letti di chi pensava di vivere in una zona a bassissima sismicità. Io ero tra loro.

Un anno in cui la nostra terra, la mia terra, ha tenuto botta, come recitavano, in una sorta di tin bòta!
invocazione a noi stessi, i braccialetti che dopo le scosse di quella maledetta settimana hanno cominciato ad agghindare i polsi di molti abitanti:

E in un modo o nell'altro abbiamo tenuto botta, nonostante tutto, nonostante la terra continui ancora a tremare. C'è ancora molto da fare, (anche se tanto è stato fatto) te ne accorgi parlando con la gente delle zone colpite, ma i segni del terremoto si cominciano a notare meno. O forse siamo noi, noi che non vogliamo vederli. Come quello ferito che finge di non notare la vistosa cicatrice, per sentirsi normale, per tirare avanti. Non lo so.

La regione Emilia Romagna intanto pochi giorni fa ha pubblicato un video di 14 minuti in cui riepiloga lo stato dei lavori e quel che è stato fatto, qualche numero.



Proprio l'altro giorno ho finito di risistemare la pesante copertura del camino. Con le due violente scosse era ruotata di 30 gradi rispetto al suo asse. Se ne era stata lì per tutto l'inverno, in cima a tutto, simbolo di un evento che non avrei mai voluto vivere. Ogni volta che la fissavo la mente tornava a quei giorni. Ora, anche se l'effetto è puramente placebo, guardarla mi da un senso di normalità. Sono piccole cose, ma aiutano.

Qualcuno ha detto e dice che il terremoto era prevedibile, che c'era una carta un po' allarmante, di qualche mese prima, che faceva riferimento ad una attività minore, che comunque aveva messo in allerta gli organi preposti al monitoraggio. E pure il giudice Grieco, quello che segue le indagini sul Terremoto dell'Aquila dice che, ad esempio, l'evento abruzzese non era affatto imprevedibile. Lo ha scritto qualche giorno fa nelle motivazioni della sentenza.  Ma ad oggi, rimane inutile polemica, ed scientificamente non provata la prevedibilità di un determinato evento sismico. Per ora. Almeno così ci dicono.

Inutile non è invece la prevenzione, l'educazione, i controlli e la comunicazione  alle norme di sicurezza, di edificazione in materia antisismica. Sia nell'ambito privato che in quello lavorativo. Tra il 20 e il 29 maggio delle 28 vittime, in maggioranza erano operai caduti sui rispettivi posti di lavoro. Costruzioni al di fuori di ogni criterio antisismico, si capirà poi. Ma oltre i posti di lavoro viene inevitabile pensare agli edifici scolastici che in molte parti del paese versano in uno stato di degrado e fatiscenza. In questi giorni si è parlato di evitare tagli alla scuola: invece di evitare, investiamo nella messa in sicurezza di questi edifici, prima di tutto. Passaggio indispensabile in un paese ad elevata sismicità come il nostro dove, lo si è visto, anche in un posto comunemente ritenuto a bassa intensità sismica può accadere l'impensabile.

Mentre butto giù queste righe ripenso a quei giorni, e ripenso a qualche anno prima, quando dopo il sisma aquilano mi chiesi come ci si dovesse sentire. I due eventi non sono forse paragonabili. Ogni storia è a se. Ma qualche similitudine forse, negli stati d'animo. Oggi capisco ancora di più l'urgenza disperata di quel grido, delle proteste, dello sconforto, della indignazione, della fretta di quelle terre: vogliamo ripartire, non lasciateci soli.

Perché è davvero un nulla, dopo le photo opportunity e le promesse, rimanere impantanati in un dramma nel dramma: l'immobilità di un tempo che non sembra riavviarsi più. Ma qua, nonostante gli orologi delle torri campanarie si siano fermati alle 04:03:52 del 20 maggio 2012, grazie alla cocciutaggine che indipendentemente da tutto hanno fatto spesso l'impossibile, almeno nelle nostre menti, nei nostri cuori, nelle nostre mani le lancette hanno ripreso a girare per molti. Ora è tempo di rimettere in moto anche quelle di chi è rimasto fermo. Perché è questo che fa una comunità.

Matteo Castellani Tarabini | @contepaz83


Earthquake in Emilia: 365 days and a few hours later

Here is the piece, actually pieces of rubble that fall on me (not so much stuff, to be honest, but enough to make you say a couple of epic swearings). Morale, I thought it's not my skill to bring me on the piece, it's the piece that's coming and sometimes it's quite scary, a fear that goes bone deep and makes you stay focused. Like at 4 a.m., when the instinct says run outside on the stairs but the brain tells you to wait until it's done before you do something stupid. The brain won, in those long seconds, 10, 15, I don't even know how many.

What I do know is the noise that throws you out of bed without giving you the time to understand, the earth that's shaking hard, the 9 stories above you that dance in the air while the walls crack and the rubble falls and you ask yourself: will the shack up there hold? Yes, it holds. Then you go out on the streets, in front of the fountain Graziosi and you look into the eyes of the others. You see the young ones, a bit frightened, while the older, the grandparents, those go back inside after a short while. People who have seen stuff in their lives, that don't get scared that easily and that a bit you envy for how the hell they do it.

Then you take the mobile phone and start looking at the tweets. When you start reading you see updates from Padova, Milano, from Veneto to Trentino to Liguria. You wonder, but don't realize, you don't think you're the epicentre (you never do, you always refuse that thought, it has to be that way, for hope), but you think that wherever it was, the place will be completely destroyed. It's not, but already there are damages, deaths, wounded, and 3000 evacuated people. You look for information on media, nothing, you refresh, nothing. Only the people, the people on the streets, actually spread information. Good thing there's the people. You get on your car, and from Modena you go home, towards Soliera, in the general direction of the epicentre. The street is empty, the fog is going up together with the dawn that brings rain. The rain, you think, it always rains after an earthquake. Because the injustice complicates the lives of evacuated and rescuers.

At one point the brain connects. Tomorrow I have a specialistic visit (gastroscopy) at the hospital of Mirandola, one of the towns that has been hit, and quite near the epicentre. I call, they tell me to call tomorrow. Here the damages are serious, we're evacuating part of the hospital, we're waiting to understand whether the structure can be used or not. I say thanks, and hang up. I've been up since 4 a.m. I write down these lines confusely to fix the moment, while with one eye on the web, and the other on the lamp.

Matteo Castellani Tarabini | @contepaz83

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