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giovedì 2 maggio 2013

Giornalisti bersaglio della #mafia: storie di cronisti dalla schiena dritta



A Marilù Mastrogiovanni hanno rubato i computer della redazione, l'hanno minacciata, intimidita. Le hanno ucciso alcuni cuccioli di cane e querelata. Un processo durato otto anni da cui è uscita, poi, assolta.

Marilena Natale, invece, è stata spintonata, malmenata, offesa. Le hanno incendiato l'auto e sparato due colpi di pistola dall'alto sul tettuccio. Una mattina, poi, la figlia di Michele Albanese, all'uscita della scuola, si rivolse al padre con il viso quasi in lacrime: “Papà che significa 'mpamu, un mio compagno di scuola mi ha detto che lui non parla con i figli di 'mpamu”. 'Mpamu, in dialetto calabrese, significa infame, vile, traditore. Ed è l'appellativo con cui gli uomini della 'ndrangheta apostrofano i giornalisti che con le loro inchieste “danno fastidio” ai loro affari illeciti.

Marilù, Marilena e Michele sono tre cronisti. Tre tra i 1393 giornalisti minacciati in Italia dal 2006 ad oggi. Un numero impressionante, che aumenta di giorno in giorno e che viene monitorato da Ossigeno per l'Informazione, l'osservatorio diretto da Alberto Spampinato che si occupa di raccontare le storie dei giornalisti intimiditi, di offrire sostegno, vicinanza e supporto. Alberto è fratello di Giovanni Spampinato, giornalista de L'Ora di Palermo ucciso dalla mafia nel 1972, a Ragusa. A condannare a morte Giovanni erano stati i suoi articoli, che facevano luce su uno strano omicidio compiuto dal figlio di un noto magistrato di Ragusa. Giovanni era stato l'unico a scriverlo, e per questo è stato punito.

Così come Cosimo Cristina, Mauro De Mauro, Carlo Casalegno, Peppino Impastato, Mario Francese, Walter Tobagi, Pippo Fava, Giancarlo Siani, Mauro Rostagno, Beppe Alfano. Undici cronisti uccisi dalle mafie e dal terrorismo. Nove in Sicilia, uno in Campania, Piemonte e Lombardia. Dal 1993 la mafia non ha più ucciso. Ma i quasi 1400 cronisti minacciati in 7 anni dimostrano che le intimidazioni, e i tentativi di ridurre al silenzio l'informazione non sono affatto finiti.

Potrei raccontare le storie di Ester Castano, giornalista ventiduenne della provincia milanese perseguitata per un anno da querele pretestuose e tentativi di zittire il suo lavoro. O di Leonardo Orlando, cronista de La Gazzetta del Sud a cui è stata incendiata, nelle scorse settimane, la sua automobile durante la notte. E poi ci sono i nomi più noti: Rosaria Capacchione, Lirio Abbate, Giovanni Tizian, Roberto Saviano costretti a vivere sotto scorta per aver osato scoprire, scrivere, raccontare e denunciare. Storie diverse ma tutte uguali, un elenco infinito (qui la tabella di Ossigeno in continuo aggiornamento) di giornalisti che fanno solo il proprio lavoro e niente di più. Ma che per questo vengono minacciati.

Ed è a questi giornalisti che io penso quando immagino l'informazione italiana. Da giornalista, e da lettore, non vorrei mai aver visto dei colleghi rincorrere un leader politico sulla spiaggia sperando in una battuta o dei reporter intervistare un bambino di 11 anni, figlio dell'uomo che ha sparato contro due carabinieri all'esterno di Palazzo Chigi. Tutto in nome del “Dio Scoop”. Ma cosa è, poi davvero, uno scoop?

L'Italia è al 57esimo posto nella classifica sulla libertà di stampa di Reporter Sans Frontieres. Dopo Ungheria e Moldavia, Botswana e Sudafrica. C'è bisogno di ossigeno, di giornalismo puro, di leggi e di una spinta che provenga dal basso. Dai lettori, che devono richiedere e pretendere il loro diritto ad una libera, corretta e non sensazionalistica informazione. E da noi giornalisti, soprattutto, per non scendere sempre più in basso e per ridare aria pulita alla nostra categoria. C'è giornalismo e giornalismo; bisogna solo scegliere da che parte stare.

Gerardo Adinolfi | @gerryadi


Journalists target of the mafia: stories of people with a straight back

They stole Marilù Mastrogiovanni's computers from the newsroom, they threatened her, intimidated her. They killed her puppies and sued her. A trial 8 years long, from which she came out innocent.

Marilena Natale was pushed around, beaten, insulted. They set her car on fire and shot through the car from above. One morning, Michele Albanese's daughter, when coming out of school, told her father in tears: "Daddy, what does 'mpamu means, my classmates told me they don't talk with 'mpamu's kids." 'Mpamu, in Calabrian dialect, means infamous, vile, traitor. And that's the name the mafia people give to journalists who bother their illegal business with inquiries and scoops.

Marilù, Marilena and Michele are three journalists. Three among the 1393 journalists threatened in Italy from 2006 until today. An impressive number, which only goes up day after day and is being monitored by Oxygen for information, the observatory directed by Alberto Spampinato that deals with telling the stories of intimidated journalists, offering support. Alberto is the brother of Giovanni Spampinato, a journalist of L'Ora di Palermo, killed by the mafia in 1972 in Ragusa. Giovanni's sentence to death were his articles, which shed light on a strange homicide done by the son of a famous Ragusa judge. Giovanni was the only one to write about it, and hence he was punished.

Just like Cosimo Cristina, Mauro De Mauro, Carlo Casalegno, Peppino Impastato, Mario Francese, Walter Tobagi, Pippo Fava, Giancarlo Siani, Mauro Rostagno, Beppe Alfano. Eleven journalists killed by mafia and terrorism. Nine in Sicily, one in Campania, Piemonte and Lombardia each. The mafia has stopped killing since 1993. But the almost 1400 journalists threatened in 7 years time prove that intimidations and attempts to silence information are far from over.

I could tell you the story of Ester Castano, a 22 year old journalist near Milan, persecuted for a year by pretextuous lawsuits and attempts to silence her work. Or Leonardo Orlando, journalist for the Gazzetta del Sud, whose car was set on fire a few weeks ago during the night. And then there's the most famous names: Rosaria Capacchione, Lirio Abbate, Giovanni Tizian, Roberto Saviano, constrained to live under escort for daring to reveal, write, tell, accuse. Different stories, but all the same, an infinite list of journalists who do their jobs and nothing more. But that are getting threatened because of it.

And it's about these journalists I think about when I imagine Italian information. As a journalist, and as a reader, I wish I had never seen my colleagues run after a political leader on a beach, hoping to get some words out of him, or reporters interview an eleven years old boy, the son of the man who shot two carabinieri outside Palazzo Chigi the other week. All in the name of the Scoop God. But what is, really, a scoop?

Italy is 57th in the chart for print freedom, put together by Reporter Sans Frontieres. After Hungary and Moldova, Botswana and South Africa. We need oxygen, pure journalism, laws and a drive from beneath. From readers, who must ask and demand their right to an information that is free, correct and not sensational. And us journalists, most of all, in order to not go down in quality, and bring some fresh air to our category. There's journalism and there's journalism: you just need to choose on which side you're going to stay.

Gerardo Adinolfi | @gerryadi 

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